Una storia ultrà a tinte noir

Per capire gli anni novanta del nostro scontento abbiamo dovuto leggere un “Romanzo degli anni zero”. Peccato solo che la parole comitiva non ne esca tanto bene… A quel tempo, infatti, negli anni novanta, avevo una piccola comitiva. Si prendeva una macchina, ci si dava un appuntamento, si andava allo stadio. Destinazione: il Libero Liberati di Terni. Noi eravamo un trio, talvolta un quartetto, che, per amore della Cultura (e non sotto-cultura!) Ultrà, partiva alla volta di Terni. Nella mistica tardo-operaista la città sembrava (ed è!) una sorta di Manchester italiana (che poi, sta cosa della Manchester, mo la dice anche Wikipedia, ma allora Wikipedia non c’era…). La frequentazione fu rara poiché, gioco-forza, la vita ci aveva diventare tifosi di altre squadre e dunque la Curva Est ci accolse solo una decina di volte in tutto. L’ultima (con la est che era la est) fu proprio un Ternana-Cosenza dove andammo con alcuni cosentini della diaspora romana. Anche lì, prima o poi bisognerà dire, come sostiene giustamente il buon Francesco, che i calabresi hanno avuto il merito storico, epocale, di trasformare un quartiere iper-fascista e pericoloso, come piazza Bologna, in un quartiere frequentabile. Ci avvicinammo agli ultrà proprio perché lì, nel contesto delle curve, era stato ripreso quel salutare circolo (di derivazione politica) fra ocupar, resistir, producir (come riassunsero i mitici Sem Terra). Per certi versi e ancora di più che nel fantomatico “Movimento”; il Movimento è sempre stato troppo palloso e “costruttivo” (e poco organizzato con quel ritornello “sull’eterno ritardo …”). In un Ternana-Livorno (si odiavano!) vedemmo bruciare gli striscioni della EST da quelli della EST stessi pur di “fare casino”. La storia della cultura ultrà(s) è nascoste nelle pieghe di un noir. Guai però a pensare che il romanzo sia rivolto solo chi, alla cultura ultrà, deve qualcosa, come noi. Il romanzo parla di un gruppo che studia, si organizza, si “arma” e alla fine vince (o perde?). Questi sono i veri punti. L’organizzazione: la riunione, il bar, l’appuntamento, la chiacchiera: intorno a questi 6 giorni nasceva il settimo. Le armi, poi, quelle metaforiche (per carità!). Nel romanzo, ad esempio, una fotocopiatrice, un computer: cose banali ma che, usate a modo, possono diventare “pericolose”. Alle fine si vinca o si perda è secondario (tanto perdiamo sempre come il Cosenza). L’importanza è sempre nel fatto di averi provato, di esserci visti, di aver condiviso idee, bagni sporchi, treni sgangherati. Queste suggestioni sono universali anche per chi crede essere gli ultrà “brutti, sporchi e cattivi”. “Fuori i fascisti dalle curve, fuori le curve dagli stadi”. Questo fu il verbo cosentino: subito apprezzammo lo spirito provocatorio e militante; dopo capimmo, a Genova, lo spirito profetico: la repressione delle curve fu portata fuori dagli stadi. Ora Claudio tenta di portare la curva nella letteratura: il tentativo è alto e, per una volta, molto ben riuscito.
Lorenzo Teodonio
Fatti al Cubo, 1 febbraio 2013

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