Totonno Chiappetta, la risata che non si estingue

Sotto la gommosa pelle di attori, comici e cantautori spesso palpita la personalità di un poeta. Che è qualcosa di più complesso, profondo e delicato di qualsiasi altra figura artistica. A volte la morte sopraggiunge prematura, a stroncare i corpi, le battute, la musica e le risate. Ti accorgi d’aver perso non solo il personaggio, ma l’uomo e la sua poesia, quando a piangerlo sono soprattutto i cosiddetti matti, gli ultimi, i diseredati.
Totonno Chiappetta era mio grande amico. E prima d’essere un attore comico, un brillante umorista, era un poeta dotato di vivace umanità. Quando ho saputo della sua prematura scomparsa sono stato assalito dal solito irrefrenabile impulso di uscire di casa, camminare libero sui marciapiedi, affidare alla fantasia l’arduo compito di scolpire nell’aria aperta la sua immagine. M’è venuto in mente che lui adorava vivere la città piena di folla oppure, per contrasto, nei periodi in cui Cosenza si svuota. Proverbiali le sue fotografie su Corso Mazzini deserta a ferragosto! Così m’è capitato d’incontrare per strada ex detenuti, migranti, ex bambini difficili, persone sofferenti. Tutti avevano gli occhi pieni di lacrime per la morte di Totonno. Era un uomo meraviglioso, prima ancora che un artista.
C’è un sorprendente legame tra la risata e il pianto. La prima sbuca improvvisa e si spegne silenziosa. Il secondo affiora da dentro e si congeda lasciando dietro di sé il singhiozzo. Nonostante ci siano nascite accompagnate da lacrime e risate che uccidono, siamo abituati ad associare l’idea della risata alla vita, mentre piangere ci ricorda l’atto di morire. Ecco perché riesce difficile abituarci all’idea che un uomo così allegro possa scomparire. Di certo è infinitamente più facile commuovere che suscitare ilarità. A teatro come nella vita, per far piangere il pubblico basta implorare compassione, essere corporei, provocare immedesimazione. Invece, se vogliamo accendere il riso sulla bocca di chi ci osserva, dobbiamo sforzarci di essere cerebrali, intrufolarci nei recessi della mente umana. Totonno aveva affinato una tecnica ipnotica per indurre alla risata. Introducendo aneddoti e barzellette, ti guardava fisso e serioso negli occhi, spalancava le palpebre, pareva che stesse per confidarti chissà quale segreto o magari una scomoda verità. Man mano che la battuta s’avvicinava, restavi sospeso. Ascoltandolo, l’allegria sopraggiungeva a sorpresa, con un retrogusto amarognolo che ti costringeva a sghignazzare. A quel punto era lui a ridere per primo, quasi a voler farti mollare il freno a mano dell’emotività.
Totonno era nipote del più coraggioso cronista cosentino del ‘900, il giornalista Antonio Chiappetta. Antifascista, conosciuto per aver scritto il carme in dialetto “Jugale”, Antonio Chiappetta Sr è oggi un po’ meno ricordato, purtroppo, per la determinazione con cui sfidò i potenti della sua epoca, denunciò i legami tra politica e malaffare, riscuotendo minacce e diffidenza spesso proprio da quegli ambienti progressisti che avrebbero dovuto apprezzarlo.
Totonno discendeva da quella linfa ribelle. Ne andava orgoglioso. Lo sguardo ipnotico, la satira impregnata di acuti e mai sboccati doppi sensi, l’uso dinamico del vernacolo, la capacità di leggere i comportamenti umani e tradurli in sostanza drammaturgica, erano i suoi punti di forza. Dal suo magnifico amico fotografo, il compianto Gianni Muraca con cui collaborava, aveva attinto l’arte di catturare la sostanza vitale che è custodita nei soggetti sociali.
Ciao Toto’, soffriamo molto per il vuoto lasciato dalla tua assenza fisica. Eppure tra un sospiro e una lacrima non riusciamo a non scialarci pensando all’immortalità della tua risata. Per te come per me e pochi altri, il rosso e il blu dei nostri sogni, purché sovrapposti, partoriscono il viola. Che è, sì, il più vicino all’invisibile e alle circostanze luttuose, ma anche il colore della Fiorentina, nonché testimone d’intensa bellezza e d’amore.
Claudio Dionesalvi
Infonight, gennaio 2015

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