Cosenza. Il calciatore diffidato con il Daspo

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Un ticchettio di pioggia novembrina accompagna l’ingresso in campo dei giocatori in casacca d’allenamento. Potrebbe essere un martedì come tanti per il Cosenza Calcio, squadra dai trascorsi dignitosi, oggi militante nel campionato Dilettanti. A bordo campo duecento tifosi osservano muti. Si nota che manca all’appello l’attaccante dalle braccia tatuate, Pietro “Biccio” Arcidiacono, 25 anni, catanese.
Dall’inizio del campionato, quest’anno il ragazzo ha segnato cinque gol. L’ultimo gli è spuntato dalle gambe sabato scorso a Lamezia contro il Sambiase, nell’anticipo trasmesso da Rai Sport, terminato col risultato di 4-3 in trasferta per il Cosenza. “Biccio” ha raccolto un assist felpato dell’altra verace punta rossoblu Manolo Mosciaro, come si dice col tedioso vocabolario del calcio moderno: “verticalizzando all’esito di una ripartenza della sua squadra”. Uno, due, slalom su di un campo verde-marrone buono per coltivare patate, e palla nella cornice rettangolare bianca. S’è capito subito che lui il pallone l’aveva messo dentro, ma il vero gol doveva ancora segnarlo. Perché invece di abbracciare i compagni o correre sotto la gradinata occupata dagli ultrà cosentini, ha imboccato la direzione opposta, verso una delle telecamere. Gioia in corpo e indignazione conficcata in mezzo agli occhi, è corso incontro all’obiettivo impugnando una maglietta bianca con la scritta: “Speziale innocente”, dedicata ad Antonino, uno dei due ragazzi catanesi spediti di recente in carcere perché giudicati assassini del poliziotto Filippo Raciti, deceduto il 2 febbraio 2007 durante gli scontri scoppiati tra ultrà catanesi e forze dell’ordine nel piazzale esterno dello stadio “Massimino”, mentre all’interno si giocava il derby Catania-Palermo.
Nel grigio martedì pomeriggio ai margini del campetto d’allenamento i tifosi del Cosenza srotolano uno striscione: “Biccio diffidato, per quale reato?”. Di solito gli slogan solidali sono dedicati agli ultrà costretti a firmare ogni domenica quando gioca il Cosenza, in ragione della loro vera o presunta “pericolosità”. Stavolta, incredibile ma vero, a beccare il DASPO è stato un calciatore. E non perché avrebbe fatto a cazzotti coi suoi colleghi a fine partita oppure per qualche messaggio di vicinanza a un boss mafioso, come pare sia accaduto in giro per il Paese negli ultimi anni. No, se “Biccio” non potrà indossare la maglia rossoblu, la motivazione è semplice ma inedita. Per la questura di Catanzaro, competente sullo stadio di Lamezia, egli ha bestemmiato tre volte. Ha osato oltraggiare in un sol colpo la magistratura, la memoria di un martire nazionale, e persino l’onnipotenza di Rai Sport. Roba da beccare l’ergastolo! Col suo gesto dissacra il tempio mediatico eretto intorno alla morte dell’ispettore Raciti. Poco importa che durante le indagini seguite ai tragici fatti del 2007, il Ris di Parma abbia individuato enormi contraddizioni nei risultati raggiunti dagli inquirenti siciliani. A nulla servono le inchieste giornalistiche che sbugiardano le versioni fornite dalla polizia. Bisognava mandare in galera qualcuno, dimostrare che quella contro il fanatismo calcistico è una crociata seria, scrivere una verità assoluta. E guai a chi la mette in discussione quella verità. In Italia le sentenze giudiziarie sono atti divini, o al massimo acqua santa riservata agli opinionisti. Ma un calciatore di serie D, Catanese, che per giunta gioca nel Cosenza, non è mica Sgarbi. Come si permette a usare certi toni? Lui dovrebbe solo tirare calci, fare gol, e caso mai presentarsi al cospetto di scarognati giornalisti di provincia per scandire davanti ai loro microfoni il solito rosario di “ehh… niente… è stata una partita difficile… loro sono una bella squadra”. Ma se un ragazzo in pantaloncini e scarpette chiodate s’azzarda addirittura a invadere il terreno consacrato della comunicazione futbolistica, allora rischia davvero grosso. Soltanto Renzi, Della valle, Berlusconi, Lotito & triste compagnia lagnante possono lanciare messaggi alle coscienze utilizzando l’arena del pallone. “Ma come si permette ‘sto ragazzotto siciliano? Chiamate la digos, la procura federale, l’accalappiacani”. Così le potenti forze dello Stato, poste a garanzia della legalità, non si sono fatte attendere. Al grido di dolore lanciato da sindacalisti di polizia inneggianti al Duce, e da qualche “tengofamiglia” col tesserino di giornalista, ha fieramente risposto il questore Guido Marino, che quando faceva questo lavoro a Cosenza tutti lo conoscevano per la sua smagliante abbronzatura invernale. Non è che nella lotta al crimine abbia fatto registrare risultati entusiasmanti; in compenso però sono rimaste impresse nelle memoria collettiva le sue passeggiate trionfali sul principale corso della città.
Scorre silenzioso il pomeriggio nel “Sanvitino”, un prato verde oggi ben curato, un tempo in terra battuta. I tifosi del Cosenza bisbigliano: “Con noi, quelli che comandano il pallone non sono mai stati morbidi. Tutte le volte che è cambiato il regolamento, l’abbiamo preso in c… l’88-89 in serie B era appena entrata in vigore la terribile classifica avulsa. Arrivammo a un millimetro dalla serie A. Pari punti con Cremonese e Reggina, ma non riuscimmo a salire per un gol in meno. Nel 95-96 a Pescara vincevamo 1-0. Al 97° per loro segnò Di Giannatale. L’arbitro aveva dato sette minuti di recupero. Una cosa mai vista. La domenica dopo entrò in vigore l’obbligo per l’arbitro di indicare al 90° il minutaggio del recupero. Da allora è apparso il display luminoso a bordo campo. Nel 2003 quando scoppiò il caso Catania-Siena ripescarono tutte le retrocesse, tranne noi. Perché dicevano che non avevamo un adeguato bacino d’utenza. E perché la società era stata travolta dai guai giudiziari. Come se le altre non ne avessero! L’anno scorso abbiamo vinto i play off in serie D anche grazie ai gol di Arcidiacono. Ma il capo della LegaPro, quel Macalli, non ci ha ripescato. Per la prima volta nella storia di questo campionato, una squadra ha disputato e vinto sei partite dopo la fine del calendario, senza poter salire nel professionismo. E adesso, pure il calciatore diffidato col DASPO, ci mancava”.
Cala il buio sul martedì pomeriggio del Cosenza. I tifosi si disperdono, i giocatori vanno via. Domenica si gioca in casa. Ma da anni ormai il San Vito non è più come prima. Non ci sono i diecimila spettatori fissi. Non c’è il clima di festa popolare che si viveva in passato. E nonostante la categoria dilettantistica, bisogna fare lunghe file per comprare il biglietto nominativo, oltrepassare barriere degne di Alcatraz. Ma il problema adesso è un altro. Senza “Biccio” sarà tutto più triste.
Claudio Dionesalvi
www.dinamopress.it   21 Novembre 2012

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