Renzo Ulivieri: “Il calcio appartiene al popolo”

Renzo Ulivieri è materialista, ma superstizioso. L’allenatore toscano indossa lo stesso cappotto dal 1994, quando prese per mano il Bologna per accompagnarlo in serie “A”. La società emiliana è all’avanguardia tra i club italiani che stanno per essere quotati in borsa. L’ingresso del pallone nel mercato azionario rappresenta il mutamento più radicale che il calcio abbia mai subito. Le società si apprestano a diventare aziende, soggette alle leggi dell’economia globale. È opinione diffusa che l’inchiesta giudiziaria esplosa negli ultimi giorni, denominata “fuori gioco”, vada ricondotta al più ampio tentativo di eliminare dal football italiano alcuni inconvenienti. Le irregolarità nella gestione dei bilanci sono diventate un costume diffuso. Saranno annientate prima del grande salto verso il mercato.
Renzo Ulivieri non concede spazio alla polemica. L’allenatore del Bologna è reduce dall’ennesimo “caso Baggio”, ma non ha smarrito la sua dote migliore: la sincerità. Molti anni fa è stato assessore allo Sport del comune di San Miniato e conosce la natura popolare del calcio. «È ancora possibile praticare questo gioco a tutti i livelli – esordisce Ulivieri -. Basta che un bambino metta in terra una cartella, disegni le porte e abbia un pallone. Negli altri sport è necessario avere particolari doti fisiche. Nel calcio possono giocare tutti. La pratica di massa lo rende ancora un evento popolare».  Sì, ma il calcio sta per entrare in borsa… «Questo non c’entra nulla – irrompe il tecnico del Bologna – perché in borsa entra lo spettacolo, il business. Sono due cose diverse. È un gioco che si pratica in spiaggia, alla casa del popolo, in parrocchia. Non è detto che il “pallone”, nei grossi mercati finanziari, avrà vita facile».
Le trasformazioni stanno già avvenendo.  In Italia si prospettano alcune innovazioni tecnologiche per facilitare il compito degli arbitri. Su questo argomento, Ulivieri è deciso: «La moviola è inutile, perché non fornisce un’immagine reale dell’episodio. Potrebbe essere d’aiuto la cellula fotoelettrica per capire se un pallone è dentro o fuori. Le bandierine segnaletiche non mi sembrano una cattiva idea, ma io lascerei questo sport nella sua dimensione umana. In fondo, anche gli errori arbitrali fanno parte del gioco». A proposito del recente dibattito sul ruolo delle giacchette nere, Ulivieri preferisce ricorrere a toni distensivi: «Le polemiche non portano mai nulla. Da un punto di vista della valenza tecnica, gli arbitri italiani possono vantare un ottimo livello. Spesso la pressione delle società è eccessiva». Il calcio cambia nei rettangoli di gioco e sugli spalti. Talvolta, si verificano negli stadi preoccupanti episodi di razzismo. Il mister bolognese, famoso per la sua identità “rossa”, descrive così il fenomeno: «All’inizio era presente qualche strumentalizzazione. La novità era la presenza di giocatori di etnia diversa. Tuttavia, “razzismo” vuol dire discriminazione e quindi abbassamento della cultura. Non è un discorso che riguarda solo lo stadio, ma è un problema generale». Dalle involuzioni della società, Ulivieri passa alle rivoluzioni calcistiche: «L’ultima innovazione importante è il 3-4-3. Sono cambiamenti che avvengono rispolverando vecchi schemi. Già quando ero ragazzo, si giocava con tre difensori».
Infine, un riferimento al futuro: « Ho un contratto per il prossimo anno con il Bologna, ma questo non basta. Mi rende tranquillo sul piano economico, eppure non mi soddisfa, perché guadagnare senza lavorare non mi piace».  Il destino della panchina emiliana è segnato. Malesani si sta preparando a varcare l’appennino. Il suo trasferimento interromperà l’idillio tra Ulivieri e Bologna.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 3 aprile 1998

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