Fiore, un cosentino alla corte del Real?

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Cosenza riscopre il fascino della nazionale. Per una volta almeno, i cosentini perdono la tradizione mania di dissacrare tutto e tutti. Ieri sera, nel pub della CEP, un popolare quartiere rendese in cui è cresciuto il debuttante azzurro Stefano Fiore, gli amici hanno allestito un maxi schermo per gustare insieme l’amichevole di Palermo con la Svezia. Silenzio, c’è Stefano in tv. Quel ragazzo umile e senza grilli per la testa, cresciuto nei campetti del villaggio “Europa”, dove il polverone della terra battuta avvolge i sogni di tanti giovani talenti, spesso bruciati nei vivai delle società calcistiche del sud. Stefano è riuscito a sfondare. Gli amici sanno anche perché. Parla poco, corre tanto, non si insubordina mai. Qualità importanti e rare nello sport più praticato d’Occidente.
Peccato che un grande scopritore di talenti, Gianni di Marzio, non ne abbia compreso in tempo le enormi potenzialità. Il “Moggi” napoletano aveva un’idea molto precisa sul destino di Stefano Fiore. Niente contratto da professionista e pochi spazi per guadagnarsi un posto da titolare. Ma il neo-azzurro uno spiraglio lo ha trovato a Parma, dove si è trasferito nel ’94. Meglio stare alla larga dall’ambiente calcistico cosentino, dove non basta essere umili. Ne sa qualcosa un altro Stefano del football, Morrone, che poco prima di volare nella massima serie, aveva rischiato di finire nel Rende. Anche a scuola Stefano Fiore non era abituato a fare il gradasso. Ha frequentato la ragioneria di Rende con la media del 7. Il papà Pasquale fa il rappresentate. È un lavoratore impeccabile. Prima di diventare un campione, il centrocampista udinese ha dovuto portare a compimento gli studi superiori, altrimenti guai. Diritti e doveri. Il talento sportivo deve essere valorizzato, ma un uomo senza istruzione è come un vaso di terracotta in mezzo a tanti vasi di ferro. E la lezione di disciplina è servita anche alla formazione del calciatore. Mai beccato un cartellino rosso in sei anni di onorato professionismo sui campi ostili del nord. Fiore non conosce la parola espulsione. Anche per questo motivo, gli allenatori più blasonati strepitano per averlo nel proprio organico. Ultimi in ordine di tempo a corteggiarlo sono stati gli emissari del Real Madrid. Ma adesso il ragazzo costa tanto, almeno sei volte il prezzo dell’anno scorso: 16 miliardi. Testa alta, andatura decisa, ambidestro, tiro potente, cavalcata rocciosa. Quando si dice “il” centrocampista. Fare paragoni è rischioso. Forse è un po’ meno elegante di Antognoni, eppure il cosentino della nazionale fa sicuramente parte di quella scuola che annovera tra i suoi adepti Dossena e Tardelli, fino a risalire al nome illustre di Gianni Rivera.
Il fratello di Stefano, Adriano, classe ’80, segue le orme del Fiore maggiore. Gioca nel Castrovillari. Anch’egli è disponibile al sacrificio. Ieri è rimasto a casa. Ha preferito allenarsi regolarmente. Il pallone è spirito di rinuncia. E quindi non è andato a Palermo, come invece hanno fatto mamma e papà, che hanno obbedito al naturale istinto di ammirare dal vivo il debutto in azzurro del loro primogenito. A Cosenza Stefano torna appena può. È rimasto legato alla terra natia. Quando rientra a casa, trascorre le sue giornate come nel tempo dell’infanzia. Non si è montato la testa. Pizzeria, amici e una passeggiata. Le ragazze gli cascano intorno. Ha 25 anni, è alto 1,81 e pesa 75 kg. Di fidanzamenti ufficiali non vuole sentir parlare. Nel quartiere raccontano che l’anno scorso avrebbe avuto una love story un po’ più lunga del solito… con una fotomodella parmense! Ma gli amici intimi smentiscono: sono leggende cosentine. L’unica realtà concreta è nella sicurezza che esprime quando calcia il pallone. Il resto non conta. Stefano lo sa. E prosegue per la sua strada, con quella sua voglia di migliorare sempre, che poi è la qualità che lo farà diventare grande.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 24 febbraio 2000

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