Angelo Pagliaro e Claudio Dionesalvi: conversazione sui Rom

“I rom sono gli addetti alla raccolta differenziata dei sentimenti. Selezionano amore e odio che produciamo da mattina a sera. Se li portano nella baracca, quasi fossero trofei. Li infilano sotto il cuscino prima di abbandonarsi a un sonno umido e imprevedibile. Così difendono i sogni loro, brandiscono i sentimenti nostri buoni e cattivi, agitandoli per distrarre spiriti maligni che attraversano l’umana mente dormiente”.
Caro Claudio, questo è uno dei passi più significativi di un tuo recentissimo articolo, apparso sulla fanzine da te diretta “Tam Tam e Segnali di Fumo” (speciale gennaio 2011) all’indomani del lungo periodo di festività natalizie nel quale metti a nudo le ipocrisie della società ed evidenzi le barriere mentali…
Sì, avere un contatto quotidiano con il campo rom, aiuta a osservare la città da un’angolazione diversa. Ogni mattina, quando mi metto in macchina e oltrepasso gli incroci stradali, incontro molti degli amici rom che poi ritrovo nella baraccopoli sul fiume Crati. Mi raccontano la loro giornata. E ho notato che la quasi totalità dei miei concittadini ha sviluppato nei confronti degli zingari un duplice atteggiamento. C’è un po’ d’odio e un po’ di compassione. Insomma, i sentimenti e i pregiudizi che l’occidente da sempre nutre nei confronti dei gitani: superstizione, paura, disprezzo, o nella migliore delle ipotesi, pietà.
Dopo decenni di impegno civile delle associazioni e una serie di proposte da voi avanzate, cosa ha fatto il Comune di Cosenza per il campo nomadi di Vaglio Lise?
Niente. Assolutamente niente. Mai visti gli assistenti sociali nel campo di Vaglio Lise. Solo qualche convegno e un po’ di bla bla bla sui giornali. Il sindaco Perugini ha confermato in questa vicenda il suo generale approccio alla città. Pur di mantenersi in sella per cinque anni, si è rinchiuso nelle stanze dei partiti. Così si è garantito la stabilità politica in giunta. Attraverso piaceri, pacche e clientele, ha messo la museruola a quei quattro pescecani in doppio petto che infestano il palazzo municipale. Ma si è allontanato dalle associazioni, dai quartieri, dalla vita pubblica reale. Figuriamoci se ha tempo e voglia di dedicarsi alla questione rom!
Quando avete dato vita alla “scuola del vento” pensavate ad un progetto capace di contribuire a disegnare un futuro di speranza per i bimbi Rom?
Da due anni, noi della Coessenza e le altre associazioni impegnate a sostegno dei bambini rom, andiamo nella favela cosentina per un motivo solo: costruire autonomia. È chiaro, si tratta di un cammino solidale. Ma non è il solito, ipocrita, atto compassionevole per guadagnarci il paradiso. Pensiamo che un’Altra Calabria si costruisca a partire da gesti concreti, realizzando pezzi di società alternativa, praticando in rete azioni di ribellione al governo della paura. Il blocco delle ruspe, un anno fa, in occasione del tentativo di sgombero della baraccopoli, sta sullo stesso piano della Scuola Comune che andiamo praticando. Sono due differenti e complementari modi di urlare: mo’ basta!
Da febbraio a ottobre 2010 è stata una continua lotta per evitare gli sgomberi, gli allontanamenti, le deportazioni della comunità Rom di Cosenza. Qual è oggi la situazione?
È drammatica. Le presenze nel campo di Vaglio Lise aumentano ogni giorno. I conflitti interni tra i rom rischiano di degenerare. I bambini hanno i pidocchi. Qualche giorno fa ho visto uno di loro che palleggiava con la carogna di un grosso topo. E c’è il rischio serio che prima o poi alcuni abitanti di via Popilia si lascino rapire dalla xenofobia e passino all’azione contro la baraccopoli. Sarebbero scene già viste a Roma o a Napoli…
Integrazione, assimilazione, omologazione sono tutti termini, con significati diversi, di cui gli amministratori abusano quando parlano di Rom… esiste, secondo te, una strategia del linguaggio?
Certo! In una prospettiva di agire comunicativo, il linguaggio ha valore costituente. Ai termini come integrazione e assimilazione, preferisco “compatibilità”. Nell’ultimo anno, questa rete informale di associazioni è riuscita a incrementare il numero di bambini rom che frequentano le scuole italiane, ma anche a portarli fuori dal campo in cui sono stati confinati dopo lo sgombero del 2007. Tutto questo, senza chiedere un centesimo! Non mancano però i sindacalisti etnici, che conoscono bene le strade del finanziamento pubblico e clientelare. Quelli riescono sempre a farsi dare soldi dall’amico politico. Soldi che poi spariscono. Riescono cioè a lucrare sulla disperazione: la desperation economy.
Quale futuro si può ipotizzare per i Rom di Cosenza se si dovesse continuare nelle politiche pubbliche schizofreniche che alternano assistenzialismo e repressione?
Il nuovo prefetto Cannizzaro è stato mandato a Cosenza per risolvere due emergenze: i rifiuti e i rom. L’accostamento, da parte dello Stato, non è casuale. Quindi prevedo un’imminente soluzione di forza, alla quale naturalmente noi ci opporremo con ogni mezzo necessario. Tale opzione poliziesca sarebbe stata già messa in pratica, se quattro poveri bambini non fossero morti carbonizzati a Roma. È incredibile come soltanto gli eventi più atroci riescano a scuotere – seppur minimamente – le coscienze. Il sacrificio di quei bambini grida vendetta. Paradossalmente servirà ad alleggerire la pressione sul mondo rom. Ma tutto questo durerà poco. Qualche giorno prima del rogo, questura, procura e prefettura di Cosenza avevano già iniziato a strappare dalle braccia delle rispettive madri, i bambini dediti all’accattonaggio, affidandoli alle suore. È una barbarie, soprattutto quando simili operazioni si effettuano senza aver prima provato a realizzare concrete politiche d’accoglienza. Vorrei proprio vedere come si sentirebbero i genitori dei giovani disoccupati calabresi, se tra qualche mese, quando ricomincerà la buffonata delle elezioni amministrative, la polizia sequestrasse i loro figli mentre sono in fila davanti le segreterie dei politici, col cappello in mano, alla disperata richiesta di un posto di lavoro. Non è forse pure quello… accattonaggio?!?
Angelo Pagliaro, Rivista anarchica n°361, aprile 2011

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