Padre Fedele innocente, la procura di Cosenza condannata dalla storia

La Cassazione ha confermato. Padre Fedele Bisceglia è stato definitivamente assolto nell’ultimo grado di giudizio.
Accadde in un passato che appare già remoto. Era davvero un altro mondo, quello in cui misero le manette al monaco. Dieci anni fa, Cosenza stava per riscoprirsi democristiana. La crisi economica strutturale non si era ancora manifestata. Il questore Marino, il pubblico ministero Curreli, l’ispettore Dodaro e il capo della procura Serafini non ebbero dubbi: padre Fedele Bisceglia è uno stupratore. Il vescovo Nunnari tacque e il suo invito al silenzio suonò come una medievale condanna senz’appello. Al coro “crocifiggi” si unì la borghesia perbenista, quella d’ispirazione clerico-fascista, da sempre minoritaria e marginale in città, eppur presente e determinante nel condizionare certi equilibri di potere. La troupe di “Striscia la notizia” calò a Cosenza e passeggiò per corso Mazzini. Fermava le matrone, le intervistava col PC in mano e le immagini del monaco impudico che ballava: signora, cosa ne pensa di questo mostro? Soltanto zio Elio Principato ebbe l’impeto di mandarli a quel paese. Lo bollarono d’insolenza. Mediaset non si perse d’animo. Mandò un’altra troupe, dotata di telecamere spia. Ci seguirono in Sicilia, ad Adrano, dove il Cosenza giocava in trasferta. Si finsero giornalisti impegnati in un’inchiesta sul mondo degli ultrà. Ci fecero domande a trabocchetto sulla vicenda di padre Fedele. Rimasero di stucco dinanzi alla fermezza delle nostre argomentazioni in sua difesa. Censurarono le battute contro la procura di Cosenza. Il Corriere della Sera fece di più: mandò un inviato in Africa a cercare i figli nascosti di padre Fedele. L’inviato tornò senza aver trovato i figli del peccato. Scrisse che laggiù il monaco frequentava gli umili, gli oppressi, i diseredati, viveva la povertà, predicava la non violenza e l’uguaglianza. Come un capellone vissuto in Palestina duemila anni fa.
Intanto a Cosenza qualcuno aveva finalmente trovato il modo di sbarazzarsi del monaco impuro, sboccato, amorale, anticonformista e non omologato, quel frate francescano senza ritegno, “giullare di Dio” ma anche degli ultrà, che aveva osato mettere il becco in questioni delicate come lo scandalo del “Papa Giovanni XXIII”, le anomalie dell’operazione “Spezzacatene” e la vicenda kafkiana del blitz contro i noglobal del sud ribelle. Persino un’area culturale pseudo progressista, anch’essa molto residuale, brulicante di soggetti che vissero gli anni ottanta e i novanta in pantofole, dai salotti incantati, senza volersi mai infangare nella città reale, si scagliò sulla carcassa del monaco: “A prescindere dalle odierne responsabilità, è un molestatore, uno che ci provava con tutte”. Così le cassette della posta si riempirono di lettere anonime che raccontavano l’inenarrabile, siluravano il personaggio, sgonfiavano il mito. Poterono turbare forse chi aveva creduto nella mitologia costruitasi nei decenni intorno a padre Fedele, non quanti erano cresciuti al suo fianco, imparando a conoscerne i difetti, le debolezze umane, le fisiologiche incoerenze. Querelati i giornalisti innocentisti come Francesca Canino; il vescovo Nunnari denunciò me e Sergio Crocco “Canaletta” per un articolo a difesa di padre Fedele, i testimoni convocati dai suoi avvocati furono condannati per falsa testimonianza. Non mi feci condizionare dall’affetto per lui né dalla campagna denigratoria a suo danno. Ho sempre detestato la cronaca nera e la giudiziaria. Suscitano in me conati di vomito i detective faidate, riflesso della montalbanizzazione del presente. Eppure mi immersi nella vicenda giudiziaria, produssi una mia personale controinchiesta. Ne uscii con mille dubbi. Ma con una certezza: il monaco questo delitto non l’ha commesso. Mi rimbombava in testa il dialogo telefonico tra lui e Loredana di cui ero e sono il compagno. Padre Fedele in macchina con me, lei a casa, si scambiavano porno-battute, frasi che farebbero arrossire Rocco Siffredi, nel consueto stile del monaco. Ritrovare quella conversazione intercettata, trascritta nei verbali del suo arresto, come presunta prova della personalità sessualmente deviante di padre Fedele, rafforzò la mia sfiducia negli organi inquirenti cosentini.
Dai primi due gradi del processo Fedele uscì a pezzi, condannato a quasi dieci anni di galera. Dopo il primo grado, Silvio Messinetti pubblicò un coraggiosissimo articolo su “il manifesto”. Oltre al mediattivista, nella vita Silvio è un avvocato. A ragion veduta, sollevava dubbi in merito alla correttezza della sentenza. Io e Loredana scrivemmo una lettera aperta innocentista. Anche la parte viva e umana di Cosenza rimase al suo fianco. Però tanti suoi amici si chiusero in un imbarazzato, legalista e nunnariano silenzio. Non di tradimento si trattò. È comprensibile. Non c’è nulla di più insidioso e odioso della difesa a oltranza di un presunto stupratore. “Presunto”, appunto. Perché mai e poi mai assumemmo un punto di vista giustificazionista. Non si può né giustificare né comprendere chi abbia commesso un simile orrore. Chiunque usi qualsiasi forma di violenza sulle donne, merita l’inferno in vita, perché di quello dell’aldilà purtroppo non c’è certezza. Dunque fummo solo garantisti, condizione mentale sgradita e sgradevole da Tangentopoli in poi. E non perché riconoscessimo al monaco un’aura di santità. Al contrario, ne conoscevamo limiti e difetti. Enormi. Ma l’attitudine alla violenza sessuale non è un “limite” né un “difetto”. È connotato della mostruosità, traccia subumana della bestia che siamo e che in noi maschi riemerge per effetto della nostra natura profonda e dell’educazione sessista che riceviamo. Il monaco è una persona, perlomeno non è più mostro di tutti noialtri. Di questo eravamo certi. E lo siamo rimasti anche nei momenti difficili.
Frattanto lui continuava a professarsi perseguitato. Dormiva sotto i ponti nel mese di dicembre, vagava per la città con una croce sulle spalle, scriveva libri che quasi nessuno leggeva ma che raccontavano la sua estraneità alle accuse che gli venivano mosse. Voleva a tutti i costi salvare se stesso, il saio che indossava e l’Oasi francescana che aveva fondato negli anni ottanta. Operazione impossibile. Saio e Oasi gli furono strappati dal corpo, senza pietà. Piangeva, implorava. Una domenica, prima della partita, mi chiese di andare con lui al cimitero, nella cappella della mia famiglia. S’inginocchiò davanti alle tombe dei miei genitori di cui era stato amico: “Voi da lassù sapete che io questo delitto non l’ho mai commesso e neanche pensato. Aiutatemi. Tiratemi fuori da quest’incubo”. Persino per un materialista ateo e anticlericale come me, la scena fu toccante. Se finge – pensai – è un attore eccezionale. Oggi sappiamo che gli attori, in questa vergognosa tragedia, erano altri. Non chiederanno scusa, non pagheranno per i loro errori. Eppure mi piacerebbe vederli salire sul palcoscenico a fine spettacolo, vorrei tanto bersagliarli con uova marce. In nome della legge in cui dicono di credere, in nome dello Stato che sostengono di servire, Francesco Bisceglia, “Padre Fedele”, adesso è innocente. E loro sono condannati dalla storia. A tutti quelli che si scagliarono contro di lui, e sostengono d’essere cristiani, idealmente sbatto in faccia la copertina di “Tam Tam e Segnali di Fumo”, pubblicata all’indomani dell’arresto del monaco: “Beati i perseguitati a causa della giustizia…”.
Claudio Dionesalvi
La mia città delle notizie che si sovrappongono. La mia città degli occhi spiritati dei cronisti vinti dalla tensione. La mia Cosenza “spiazzata” dalle finte dei radical chic figli di papà. La mia Cosenza oggi, privata dall’unica lusinga di bontà, privata di un sogno sociale che si è frantumato. Tutto se ne va senza eredità di pensieri: Il calcio, Mancini, le piazze e le vie, i monumenti, le emittenti laboratorio, il Centro storico rifrequentato. Tutto se ne va…l’appiglio di Padre Fedele della nonviolenza, accusato di violenza… no!… Fate presto a scoprire la verità su questo obbrobrio di situazione! Fate presto a dirci quale di queste mostruosità è la verità: Padre Fedele violento o una suora che si prostituisce alla calunnia? Fate presto, per carità, a darci la verità. Intanto, Fede’, ti dico che, comunque, non avrai solo gli avvocati a difenderti, ti difenderà sempre il mio abbraccio e quello di tanti angeli ribelli e di tanti poveri senza casa che hai salvato. Tutto ciò ti darà la forza per vincere quest’ennesima battaglia. Questa mia città in pochi giorni orfana di bene e male, di male e bene… Questa mia Cosenza cullata dall’unica superstite: l’indifferenza”.
Totonno Chiappetta – gennaio 2006 – tratto da nuovacosenza.com
Lettera aperta di Claudio e Loredana a Padre Fedele, 8 luglio 2011
Lettera aperta a Salvatore Nunnari, febbraio 2009

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *