123 volte Genoa, quando a soffiare sulle candeline è un’intera città

In viaggio con Petruzzo verso il 123° compleanno del Grifone genoano. È anche un immergersi dentro di sé, ritrovarsi, vedersi scorrere davanti agli occhi il cammino affrontato sinora. I sogni da ragazzino, il dolore dei lutti prematuri, poi l’incontro coi tortuosi territori liberati degli ultrà, infine l’andirivieni dall’utopia. Genova mi ha segnato l’esistenza due volte, negli ultimi tre decenni. L’ho attraversata tenero nei primi anni da curvaiolo, e semiadulto da attivista sociale contro il G8. Numerose altre volte l’ho visitata al seguito del Cosenza Calcio, in memorabili e gioiose trasferte, sempre accolto da Luigi che adesso è un maestro del suono e vive in Salento.
Fino a martedì scorso mi portavo dentro un trauma. Rimettendo piede in piazza Alimonda, sono riuscito a superarlo. Impossibile trattenere le lacrime sulla lapide di Carlo Giuliani, 15 anni dopo. Solare come le loro personalità, l’abbraccio dei fratelli grifoni che mi ci hanno accompagnato.
Madonna mia quant’è bella Genova! Un sinuoso seno di donna proteso sul blu profondo, mai arrendevole, materno ma superbo e orgoglioso. L’odore pungente e dolciastro della metropoli, mescolato con l’aroma del mare, senza conflitto. I vicoli intensi vaporizzano storia sociale sofferta. Mentre li percorriamo in moto con Ivano che mi fa da guida, ne avverto tutta l’immanenza silenziosa. E l’immaginazione acquisisce volume, dimensioni, corporeità. Pare quasi di vederlo, Don Gallo, che s’incunea tra i caruggi per dare sostanza ai brani universali del vangelo, quelli oggi più scomodi. Sembra di sentirle vibrare nel brillio delle luci specchiate nel porto, le poesie di De Andrè.
Percorriamo due curve, penetriamo un rettilineo e in fondo già s’intravedono imponenti bandiere stirate dal vento che al tramonto ruota impetuoso tra levante e ponente. Eccola lì, la festa del Grifone, prodigio ormai raro di mescolanza popolare intorno al rito antico del football. Bambini che giocano, migliaia di famiglie intere raccolte nelle panche, musica tonante, fuochi d’artificio rossoblu, calciatori, artisti, profumo di frittura. E negli stand, mescolati alla fiumara dei tifosi, ci sono gli ultrà. Qui come altrove non si sono estinti. Qui, a differenza di tanti altri luoghi, non sono residuali, non vivono ai margini. Stanno in mezzo al mondo. Molti giovanissimi, non mancano gli anziani della gradinata Nord. Lavorano, si sbattono, curano l’organizzazione della festa nei minimi dettagli. Rivedo Stefano, Scotto e Nico. Stessi sguardi, identica la linfa vitale del passato, ormai remoto. L’abbraccio con Massimo che in una nottata di 25 anni fa, in Ancona, ospiti degli ultras dorici, parlandomi m’ha cambiato la prospettiva, il punto di vista per inquadrare le giornate che stavo vivendo e che in seguito avrei affrontato. Ci inoltriamo nella festa. Accarezzo da vicino l’allegra simpatia di Bomba e Jessica. Stringiamo le mani di ragazzi, spesso giovanissimi, che emanano una formidabile vitalità. Tra i vecchi, Armando è bravissimo a narrarci il genius loci passando in carrellata i simboli esposti ai quattro lati dell’area festival: “Quel Grifone risale agli anni trenta, quell’altro invece…”. Anche Mario, romanticissimo, ci prende a braccetto per condurci nei sentieri di una storia condivisa. Fabrizio è appena tornato dalle zone colpite dal terremoto. Ha lo sguardo segnato dall’indignazione. Insieme a ragazzi di altre curve del tifo organizzato, ha portato aiuti alle popolazioni colpite dal sisma. Eppure mi fa notare che neanche in questi giorni i media hanno smesso di linciare gli ultrà.
Nel cuore della serata, i Grifoni mi invitano a salire sul palco. Formano un’allegra barriera protettiva alle mie spalle. Prendo la parola per loro. È l’esperienza più gratificante e onorevole che possa capitare a una persona cresciuta sulle gradinate di uno stadio. Per tutta una vita provi a immaginartele queste creature mitologiche, i grifoni. Poi una sera te li ritrovi di fronte, a migliaia, che ti osservano. E le gambe ti tremano, la pelle si stira. Nell’istante che precede il mio intervento, una fiumara di immagini m’invade la vista interiore. Viene in mente Piero Romeo e il suo perenne amore per Genova e i genoani, la nostra bandiera Gigi Marulla che indossò la casacca dei Grifoni, Petruzzo che uscito dalla sala operatoria mi chiede di andare insieme a Marassi. Mi riecheggia nella testa lo striscione dei doriani, “Aru culu”: nel derby della Lanterna ha portato male a loro e bene ai Grifoni. Tre volte in quel posto l’hanno preso… e altrettante gli innominabili del capoluogo kalabro nel derby di qualche giorno fa. E poi il boato del gol di Branco in Genoa-Liverpool che in prima fila nella Nord a me e Arancino fece sollevare i capelli. Infine lo sgomento e il dolore per la morte di Spagna. Ricordi. Che s’accavallano ai flash di un presente complesso e un recente passato carico di ingiustizia e oppressione. Nella consapevolezza che noi ultrà di errori imperdonabili ne abbiamo commesso tanti, troppi, ma anche nella convinzione che non è più possibile subire la guerra scatenata dagli apparati di potere contro il mondo delle curve. Diverse Procure ripescano dalla storia del novecento il peggiore armamentario delle leggi speciali. Reati associativi, deroghe allo stato di diritto, superpoteri alle questure, stadi svuotati o trasformati in piccole Alcatraz, controlli biometrici ai tornelli, black list. Persone come Alessio Abram, imprigionate e condannate a cinque anni di reclusione per aver praticato un’obiezione di coscienza all’obbligo di firma del Daspo. E su tutto, la sensazione che siamo stati, e ancora siamo, funzionali al governo della paura e a questo stato di polizia permanente. Il popolo del Grifone annuisce, applaude, condivide, si commuove quando sente parlare de La Terra di Piero e del compianto campione Marulla. Nelle prime file, sotto al palco, ci sono vecchi, donne e bambini, in mezzo a tanti ultrà di generazioni diverse. È una festa intelligente, il compleanno del Grifone. Un momento di riappropriazione corale dei simboli e del farsi futbolistica comunità, celebrazione di un universo come quello del calcio sociale, che resiste al tentativo di annientamento e non rinuncia al valore di vivere in prima persona i luoghi che abitiamo. Genoa è viva e combattiva. Lunga vita al Grifone.
Claudio Dionesalvi

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