Il Comune vende il Gramna. Il rudere, i sogni, le utopie

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Le chiavi del Gramna, leggendario centro sociale autogestito che ha riempito l’adolescenza di tre generazioni di cosentini, sono state riconsegnate al Comune nel 2008, dopo l’ennesimo crollo in cui gli occupanti ci stavano rimettendo la pelle. Alla fine di una stagione feconda di idee e ricca di dibattiti, di concerti, di cene sociali e di libertà, l’ex Villaggio era stato gradualmente abbandonato dai suoi chiassosi inquilini, i locali fatiscenti negli ultimi tempi ospitavano ormai solo la casa editrice Coessenza e la palestra Boxe Popolare che a quel punto sono transitate altrove. E con la consegna delle chiavi, l’esperienza del Gramna si è conclusa definitivamente. Quella porta si è chiusa e le travi e gli infissi, indeboliti dal tempo, sono venuti giù, uno dopo l’altro: il leggendario Gramna è oggi un rudere informe su cui il Comune ha messo un cartello “vendesi”. L’edificio di contrada Caricchio che ospitò nella sua prima vita l’orfanotrofio “Villaggio del Fanciullo” è in vendita al costo di 243.895 euro insieme a tanti altri immobili di proprietà comunale da cui Palazzo dei Bruzi si augura di poter incassare un po’ di soldi e di evitare altre costose manutenzioni.
Cosa resta oggi del centro sociale? Era la casa di decine di ragazzi – gli “alternativi”, i “fricchettoni” – quando non c’era internet e c’era bisogno di incontrarsi e stare assieme, condividere spazi. Da contrada Caricchio, ventisette anni anni fa, con la musica dei Clash in sottofondo, quei ragazzi sognavano di cambiare il mondo. Cosa resta? Il profilo riconoscibile, quella prua che ispirò il nome “Granma” come la nave di Che Guevara, poi per un divertente refuso diventato “Gramna”. Era il 21 gennaio 1990 quando un gruppo di ragazzi fondò il primo spazio sociale di Cosenza. «Erano gli anni del riflusso. Ma il Gramna – come la nave di Fidel Castro, con un piccolo refuso per non prendersi troppo sul serio – rappresentò un modo per reagire. E anche oggi che non c’è più continua a seminare germogli». Nessuno può raccontarla meglio di Claudio Dionesavi, attivista e oggi docente, questa storia che lui ha contribuito a scrivere. «L’obiettivo era costruire un luogo autorganizzato di agibilità democratica e di conflitto sociale nel profondo sud. E, al pari dell’esperienza cubana, il «viaggio» del Gramna cosentino non fu certo privo di ostacoli». Scrive Claudio Dionesalvi sul suo blog “Inviato da nessuno”. Erano gli anni novanta. «A far da contraltare e a resistere alla sbornia degli Ottanta – continua Dionesalvi – c’era l’esperienza dei centri sociali autogestiti, nati nella seconda metà dei Settanta, soprattutto nelle città metropolitane. Il problema del tempo libero svuotato di senso, dell’isolamento giovanile, della carenza di spazi aggregativi, erano alla base dell’esigenza di creazione di centri sociali. Per contrastare l’alienazione della vita metropolitana, specie quella delle periferie delle grandi città, per confrontarsi e ritrovarsi, per promuovere informazione alternativa e controcultura. E queste necessità si avvertivano, anzi, si moltiplicavano nelle realtà di provincia del Mezzogiorno». Era un’altra città, Cosenza. «A quei tempi, Cosenza era priva di spazi di socialità giovanile. La città era vuota e anemica. L’unico luogo di ritrovo era Piazza Kennedy, l’unico locale aperto dopo le 21 il Free Pub. L’unica energia viva pulsava dietro gli striscioni degli Ultrà Cosenza. Occupare un edificio abbandonato e riempirlo di vita era, dunque, l’unica possibilità per provare a capovolgere e ricostruire la grigia Cosenza dell’epoca. Il levantamiento ci fu. Una miscela di rabbia ed energia costruttiva animò gli oltre cinquanta attivisti che diedero vita alla prima, poi alla seconda occupazione ed, infine, ad un ciclo di storie eclatanti che, nel giro di sei mesi, portarono alla conquista dell’ex Villaggio del Fanciullo, dal giugno 1990 sede del Gramna. Senza lasciarsi deprimere dalla consapevolezza che in una città del sud è più difficile liberare il corpo, quel movimento riuscì a resistere ai processi, ai blitz cruenti della polizia e all’ostilità degli interessi criminali. Dopo, ci fu il trasferimento a Contrada Caricchio, in un ex orfanotrofio abbandonato. Qui trovarono sede di sperimentazione quegli stili di vita che, grazie all’influenza della vicina Università di Arcavacata, Cosenza aveva già in parte assorbito negli anni Settanta. Il computer collegato con le BBS di Milano, Roma, Padova, prefigurava internet e catalizzava un agire comunicativo. Suonarono sul palco oltre cento gruppi musicali, richiamando migliaia di giovani dal resto della Calabria. Le donne riunite nel collettivo «Streghe Maligne» sfidarono vittoriose pregiudizi e sfottò. I primi migranti vi furono ospitati. Molti dei protagonisti delle passate ondate sociali e politiche animarono incontri e dibattiti sulla memoria attualizzata». Mentre parte della gioventù della città si ricopriva di loghi e andava in discoteca a ballare col bicchiere di rum in mano, un’altra piccola parte discuteva di disuguanze sociali, organizzava collette.
«Tra Napoli e la Sicilia, Cosenza assunse, così, il ruolo di cerniera per la ricomposizione dei movimenti. Grazie anche alla nascita, sempre nel 1990, di Ciroma, la prima ed unica radio comunitaria del sud. Il rapporto tra le due strutture cosentine, Gramna e Ciroma, fu ambivalente: competizione e gelosia nelle fasi di avanzamento, solidarietà e mutuo soccorso nei momenti difficili. Attraverso una profonda riflessione sull’identità del sud, Ciroma – espressione cosentina per dire chiasso, fracasso – diventa sorgente di eresia, conferisce potenza allo spazio pubblico meridionale, propugna un municipalismo ribelle e solidale». Radio Ciroma resiste, ha superato i 25 anni. Il Gramna, invece, ha concluso la sua parabola, «travolto dalle fluttuazioni cicliche degli spazi sociali.
Però le tante molecole in cui si è disperso non si sono rivelate sterili». Da esso sono spuntati interessanti germogli come la Palestra di Boxe popolare e la casa editrice Coessenza che sono realtà ancora vitali. Cosa potrebbe succedere ora? Quel rudere che ha custodito i sogni colorati di tre generazioni di uomini e donne potrebbe rinascere dalle sue ceneri e trasformarsi ancora una volta in uno spazio di socialità. Un albergo, un ristorante, una casa di riposo. L’importante è sottrarlo all’oblio, prima che nuovi crolli sotterrino le ultime tracce della sua storia.
Benedetta Caira
Cronache delle Calabrie, 24 marzo 2017

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