Tanzania pamoja Cosenza. Seconda tappa. Mercoledì 31.05.2017 – Morogoro

All’imbrunire il cielo sembra oscurarsi, offuscato da stormi di uccelli migratori. Martedì sera ci scolliamo dagli uffici della Caritas dove abbiamo dovuto bivaccare per due giornate. Liberare il container dalle grinfie del porto di Dar es Salaam è stato più difficile del previsto. Procedure burocratiche estenuanti, lungaggini all’italiana e continue richieste di soldi! Alcuni volontari delle ONG ci riferiscono degli sforzi compiuti dall’attuale governo per snellire le modalità di ingresso dei container carichi di aiuti umanitari. Risulta comunque paradossale che per portare sostegno a un Paese, si debba pure pagare un pesante dazio al medesimo Stato che in teoria dovrebbe garantire salute e dignità alle persone destinatarie degli aiuti stessi. E anche la Caritas non è da meno: vende cari i suoi servizi al volontariato. Durante le attività di sblocco del container cerchiamo di mantenere la calma, persino quando le autorità portuali ci presentano un verbale che ci contesta l’importazione di prodotti alimentari scaduti. Per noi è più di una sorpresa, quasi uno schiaffo. Prima di partire, infatti, gli scatoloni sono stati controllati uno per uno. Così, quando inizia l’ispezione prevista dalle procedure, e il portellone del container si spalanca, ci precipitiamo per primi ad afferrare sacchi di riso, pacchi di medicinali, scatoloni di pasta. Ansiosi e un po’ turbati visioniamo, insieme ai locali responsabili dei controlli, il materiale tirato fuori dal grosso parallelepipedo d’acciaio. È tutto in regola. Non c’è un solo prodotto scaduto. Così comincia ad affiorare il sospetto che ci vogliano fregare. E sebbene manteniamo il fair play, ci tornano in mente i luoghi da cui proveniamo, una terra all’estremo lembo meridionale dell’Europa, che da Roma a salire tutti chiamano “Sud”. Allora uno dopo l’altro iniziamo a imprecare tra i denti. La più furiosa è Deborah: accosta il suo telefonino all’orecchio della responsabile e la fa richiamare all’ordine dai più alti vertici internazionali della Caritas. Caterina mormora magarie sangiovannesi. Simone, il nostro interprete, continua a dare e chiedere spiegazioni alle autorità, esprimendosi in un perfetto inglese, tradito però solo dall’incalzante riemergere del suo accento siciliano. I nostri interlocutori locali, sia quelli della Caritas che gli equivalenti indigeni dei finanzieri, sentendoci e vedendoci riconoscono qualcosa di antico e familiare. Sarà una coincidenza, ma da questo momento in poi le procedure accelerano, tutti appaiono più disponibili, e salta pure fuori l’equivoco: nel visionare i prodotti, le autorità portuali hanno confuso le date di scadenza con quelle di produzione! Incidente chiarito, dunque. Non resta che caricare il container e poi si parte.
Mercoledì 31 c’è solo un timido chiarore quando ci infiliamo nel Dalla Dalla. Siamo diretti verso Morogoro, 190 chilometri a ovest di Dar es Salaam, dove inizierà la distribuzione degli aiuti. Uscendo dalla metropoli il minibus attraversa una selva di corpi neri appena svegli, che muovendosi ai due lati della strada fanno ondulare il buio della notte. Dalle casse del pullmino ci accompagna la mchiriku, un’insalata di rap, ragamuffin e techno, impastata con la tradizionale ngoma. È un mix di antico mitizzato e cruda modernità, che non appartiene solo ai linguaggi della musica. Ripensando alle chiacchiere scambiate in questi primi giorni con alcuni cooperanti internazionali da tempo impegnati quaggiù, capiamo che la Tanzania sta cambiando. I pilastri socialisti eretti nel ‘900 dal fondatore della patria Julius Nyerere tremano sotto i colpi del neoliberismo pervasivo. Il già difficile cammino verso il rispetto dei diritti umani e le libertà, torna a complicarsi.
A Morogoro giungiamo in tarda mattinata. È una città vivace, una di quelle che resistettero con maggiore tenacia alla colonizzazione. Vi realizzò una base operativa Simbamwenni, un leader di etnia Luguru. I tedeschi la trasformarono in una centrale per le impiccagioni degli insorti. Alcuni decenni dopo, a indipendenza conquistata, divenne sede dell’African National Congress che lottò e ottenne la liberazione del Sudafrica. Entriamo nella missione del signor Simba. Qui troviamo un serio imprevisto: il camion del container è impantanato.
Per fortuna il problema si è verificato quando il mezzo era già entrato all’interno della struttura, quindi possiamo iniziare a scaricare.
La missione accoglie 64 bambini orfani. I battiti del cuore singhiozzano mentre stringiamo le loro manine. Sebbene Simba compia sforzi notevoli per garantire ai suoi giovanissimi ospiti un tetto, cure mediche e un piatto caldo, le risorse economiche sono molto limitate e possono permettersi soltanto un pasto al giorno. Consegniamo 216 pacchi di derrate alimentari, 82 scatoloni di vestiario, 36 colli di medicinali, 12 di materiali didattici, 138 di giochi, 15 di prodotti per l’igiene, tre culle, e un forno a legna donato dai genitori di una ragazza dotata di rara sensibilità: la compianta nostra concittadina Valeria Greco.

Depositiamo anche due incubatrici per bambini, offerte dall’ospedale di Perugia. Saranno affidate all’Alfa School di padre Riccardo, un missionario che di solito non accetta aiuti, ma ha accolto con immenso sollievo queste preziose strumentazioni. Salveranno le vite di tanti neonati che vedono la luce all’interno del suo dispensario.

Terminate le operazioni di carico, lasciamo Morogoro diretti a sudovest, dove in serata faremo tappa a Iringa, nella speranza che intanto container e camion riemergano dalla sabbia farinosa. Dopo pochi chilometri, muta il paesaggio. Ci accompagnano foreste di acacia e baobab, rimorchiate dal fiume Ruaha, color terra. Spuntano un po’ ovunque villaggi di fango e argilla, sormontati da tascabili chiesette e moschee, venditori ambulanti di pomodori e canna da zucchero. All’interno del Dalla Dalla, Mariateresa raccoglie le idee ricavate dalle interviste appena realizzate sul tema della decolonizzazione. Antonio di’ Bianchi gongola dinanzi alle foto che i suoi compagni gli hanno  inviato poco fa: sono relative all’inaugurazione della sede di “Discovering Reventino”, un’associazione di cui è tra i promotori nel cuore della Calabria. Alterniamo dibattiti a profonde dormite che rasentano lo svenimento di gruppo. Al risveglio, dopo la disavventura fecale di cui è stato protagonista lunedì mattina Cicc’i llà, un nuovo dramma si verifica nel nostro pullmino. Lungo le strade che collegano le diverse province tanzaniane, stazionano posti di blocco. Avvicinandoci a una di queste barriere, l’autista trafelato ci raccomanda di allacciare le cinture di sicurezza. Le multe sono in agguato. Tutti ci affrettiamo a eseguire l’ordine. Sergio si è appisolato e parte in ritardo. Non trova la cintura, si dimena, chiede sostegno. Alla fine l’afferra sotto il sedile, ma quando prova ad allacciarla, la cintura è troppo corta. Allora produce uno sforzo fantozziano, disperato trattiene il respiro, diventa cianotico, sbuffa come un treno a vapore, in pratica tenta di dimagrire in extremis. Intanto il pullman si ferma al posto di blocco. Il poliziotto compie un giro intorno al Dalla Dalla e proprio quando sta per arrivare all’altezza del sedile di Sergio, il miracolo si compie: tlak, la cintura si aggancia. Sergio comprime la pancia, il suo colorito si fa paonazzo e appena l’agente passa oltre, può liberarsi di quello che ormai è diventato un cilicio. Emette un rantolo. Ce l’ha fatta.
Claudio Dionesalvi
(continua)

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