Suonando e cantando il blues

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C’era una firma impressa con lo spray dalle parti di Palazzo degli Uffici: “Rob Leer”.
Un adolescente non è degno dei suoi anni se non colleziona nella propria mente una buona dose di miti. E così chiesi ad un “vecchio” chi fosse Rob Leer.
“Roberto è uno che alla tua età ha venduto tutti i suoi dischi per andare a suonare la chitarra in Inghilterra… e noi lo abbiamo aiutato, quei dischi li abbiamo comprati e  non perché ci piacessero ma perché questa città a lui stava stretta”.
E di lui ho continuato a sentir parlare. Luca era riuscito a trovare un giubbotto appartenuto a Rob e lo indossava come se fosse di James Dean; mio zio, professore di filosofia, ricordava con affetto quel suo alunno “un po’ stravagante, ma molto intelligente”, e i ragazzi di Cosenza Vecchia lo stimavano… “perché andava al classico, ma se la faceva con noi, lui non era figlio di papà”.
Direte voi: “Ma cosa c’entra tutto questo con i centri sociali?”. Beh, da quando Rob, in estate e a Natale, ha ripreso a calare in Italia, suona soprattutto negli spazi liberati e ovviamente a Cosenza la sua chitarra è tornata a vibrare grazie anche ai palchi di “Gramna” e “Filo Rosso”. Rob ha trovato al suo rientro una città diversa, trasformata, senza un’identità precisa, ma carica di opportunità culturali e artistiche. Quest’anno il tour per la Calabria, curato dalla “Batti il tuo Tempo”, ha confermato la capacità ipnotica del suo blues, arricchito da alcune cover di Lucio Battisti. Accompagnato da contrabbasso, batteria o congas, Rob preferisce oggi cantare e suonare da solista, alternando ad un sano blues del Mississipi influenze provenienti dalla musica indiana e dall’Africa occidentale. Il tutto condito da venature tratte degli spirituals neri e dal più puro dei Rock’n roll. La sensibilità nel combinare esperienze musicali provenienti dai quattro angoli del pianeta lo ha elevato al rango di autentica rivelazione del Festival Blues di Gloucester, tenutosi nel 1993. Hanno poi contribuito alla sua formazione le esperienze da supporto per alcuni bluesmen americani come Lousiana Red e John Hammond. E se a Cosenza la sua musica non produce l’effetto di un tempo perché non è più una novità per le viziate orecchie di un certo pubblico, nei paesi della provincia in cui ha suonato, la gente non si è scollata un attimo dalla sua armonica a bocca.
Qualcosa di analogo è accaduto in dicembre a Roma, nel centro sociale occupato “Pirateria”, quando la gente ha preferito le sue dissonanze ad un “rave” illegale organizzato nei paraggi.
Ah, dimenticavo, proprio in questo momento, leggendo queste righe a Londra, dove vive suonando nei locali, forse Rob mi starà odiando. Il suo vero nome d’arte infatti è Robert Caruso, quasi identico a quello anagrafico… “Rob Leer era una stronzata, faceva colpo in Italia, perché era esotico, esattamente come oggi Robert Caruso è esotico in Inghilterra”. Strana gente i rockettari purosangue; non fai in tempo a mitizzarli, perché sono sfuggenti, abbaglianti, corrosivi, allucinanti. Eh Rob?
Claudio Dionesalvi
Teatro Rendano, gennaio 1997

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