L’alluvione che mise in ginocchio Cosenza

Il violento nubifragio avvenne nella notte tra 24 e 25 novembre 1959, quando da un cielo minaccioso e cupo piovvero le prime gocce d’acqua. Era l’inizio dell’alluvione, uno degli eventi più catastrofici che si siano mai abbattuti su Cosenza.
Ma le avvisaglie c’erano state già una settimana prima. Le campagne si trasformarono in enormi paludi. Gli anziani notarono subito che le nuvole viaggiavano troppo in basso e il vento era più umido del solito. Sopravviveva ancora intenso il ricordo di quel 30 ottobre del 1902, quando per lo straripamento dei fiumi Cosenza si era già trovata in ginocchio.
Nel ‘59 il bilancio fu pesante: tre morti, centinaia di dispersi e sfollati, miliardi di danni, interi quartieri sommersi dal fango, duemila senza tetto. Oltre alla città dei Bruzi, la tragedia colpì diversi centri del Mezzogiorno.
I vecchi cosentini rievocano con estrema lucidità quei giorni drammatici. È sbalorditivo che quasi tutti abbiamo la percezione di quale fosse il contesto storico in cui avvenne l’alluvione.  Era il tempo della guerra fredda e l’Italia viveva il “miracolo economico”. Il Cosenza galoppava al primo posto in classifica nel girone C della serie C. Lenzi in attacco e Sartori tra i pali. La Giunta comunale era presieduta dal sindaco Arnaldo Clausi Schettini. Proprio in quei giorni la commissione toponomastica dava il nome alle odierne piazze Loreto ed Europa.
I primi acquazzoni si verificarono intorno alle metà di novembre. Improvvisamente, nella notte del 24, un boato da terremoto fece vibrare il sistema nervoso degli abitanti della valle del Crati. Poi, il buio. Il fiume aveva abbandonato il suo corso, dilagando impazzito ai piedi del colle Pancrazio. Una scena simile a quella del disastro di Sarno. Piazza Valdesi, lo Spirito Santo, Corso Telesio, vennero ricoperte da una gigantesca onda di fango, mentre la gente cercava scampo rifugiandosi nei piani alti dei palazzi.
In località Garruba, un grosso tronco di pioppo sradicato dalla furia delle acque sfondò la saracinesca di un ufficio postale, disperdendo il denaro in essa custodito.
Riuscì a mettersi in salvo il ministro dell’Agricoltura jugoslavo Omar Slabko che si trovava a Cosenza in visita ufficiale ed era alloggiato all’hotel Jolly (l’attuale sede dell’Aterp). Accortosi che il fango del Crati stava invadendo l’albergo, si allontanò precipitosamente dopo aver abbandonato la sua Mercedes che in breve tempo venne inghiottita dalle acque.
Le cronache del tempo raccontano della fitta coltre di nebbia che avvolse le zone colpite dal temporale. Uno scenario agghiacciante. Le squadre dei vigili del fuoco rimasero paralizzate dalla melma che invase la caserma. Tre furono le vittime dell’alluvione: un taxista, Franco De Luca, 48 anni, morì di paralisi cardiaca. A Rogliano persero la vita le sorelle Rosa ed Elena Altimari, uccise da una frana che travolse la loro abitazione.
Dopo 48 ore di panico, un timido sole illuminava il paesaggio apocalittico e accarezzava la parte bassa della città, sommersa dalle acque. Lungo Crati appariva come un fiume in piena. Il Busento non aveva nulla da invidiare ai grandi corsi d’acqua europei. Sabbia ovunque.
Dal presidente della Repubblica Gronchi arrivava una telegramma in prefettura. Un treno speciale della Croce Rossa scaricava nella stazione di Paola viveri e indumenti, il preside del liceo classico “Telesio”, Giallombardi, raccoglieva nell’istituto 133mila lire da destinare agli alluvionati. I cosentini vagavano per le strade ripetendo inebetiti: «Ci restano solo gli occhi per piangere».
Claudio Dionesalvi

Il Domani, 17 novembre 1999

La cronaca di quelle ore terribili:

“Quelle scene di disperazione nella città vecchia”

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