“Quelle scene di disperazione nella città vecchia”

I militari della caserma “Fratelli Bandiera” scapparono in mutande. Non ebbero il tempo di indossare la divisa. Il livello dell’acqua cresceva.
L’alluvione che affogò Cosenza costrinse i suoi abitanti a recuperare la leopardiana voglia di stringersi gli uni con gli altri in un ideale abbraccio di solidarietà contro la natura, che solo le calamità possono originare.
Tra le persone che misero a rischio la propria incolumità per soccorrere la gente, la memoria restituisce onore al generale Giordano che attraversò a piedi le zone allagate e affrontò pericoli pur di avvicinarsi alle abitazioni in cui erano rimaste intrappolate intere famiglie. Fu lui a dare l’allarme. Trovò in casa Leonetti un telefono funzionante e chiamò Roma per chiedere aiuto.
Il signor Luigi Barbarossa, ex calciatore del Cosenza degli anni cinquanta, ricorda che per due giorni fu prigioniero della propria abitazione.  “I viveri – spiega – ci venivano consegnati attraverso la finestre. Avevo una motocicletta nel garage. Quando l’alluvione finì, impiegai 24 ore per liberarla dal fango. Fummo fortunati perché l’ondata si fermò a pochi centimetri dal balcone. A casa nostra arrivarono altre famiglie che avevano perso tutto e si accamparono nell’appartamento. Nei vicoli del rione Spirito Santo ho assistito a terribili scene di disperazione».
Due carabinieri strapparono un giovane ad una morte terribile. Imbrigliarono con una fune un gigantesco tronco d’albero che fu fatto galleggiare fino al primo piano delle case di piazza Valdesi. Il ragazzo si aggrappò a quella zattera improvvisata e galleggiò fino a raggiungere la terra ferma. Fu un piccolo prodigio.
A dire il vero, i cosentini gridarono subito al miracolo. Nonostante il fiume di fango, il vento, la nebbia e la devastazione, si verificarono solo tre decessi, di cui due avvenuti all’esterno del perimetro urbano ed un morto di paura.
Nessuno annegò. Solo lei, la Madonna del Pilerio, poteva porre ancora una volta il manto sulla testa dei suoi protetti e preservarli dalle minacce degli agenti atmosferici impazziti.
Ma tra gli studiosi della storia cittadina c’è chi individua nell’antica saggezza dei Bruzi la chiave per comprendere perché la Cosenza degli esseri umani si salvò. Sarebbe la conformazione del colle Pancrazio ad attutire i colpi di frusta dei terremoti e le inondazioni che nel corso del tempo hanno minacciato gli abitanti di questa terra.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 17 novembre 1999
NDR integrativa: (nella foto in alto, la chiesa del Crocifisso dell’Arenella che, emergendo dalle acque, secondo la tradizione in un passato remoto avrebbe protetto la città dalle inondazioni. In basso, come la chiesetta appariva anticamente nel greto del fiume Crati. Immagine pubblicata di recente dal Dottor Alfredo Salzano sulla pagina FB “Cosenza di una volta”)

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