I reperti di Gradoni Gaeta

SCHEGGE di arte antica in uno scantinato. Scavi archeologici nel retrobottega. Sono i piccoli miracoli di Federico Mazzei, titolare di “Shiva”, il negozio che s’affaccia sulla centrale Corso Telesio. Nelle ultime settimane, nuove meraviglie sono spuntate dal cemento che ignari muratori avevano versato nel secolo scorso.

Quando Federico acquistò i locali di Corso Telesio, li trasformò in un porto sicuro per l’artigianato proveniente dal sud del mondo. Articoli e manufatti dei popoli più remoti.

Non immaginava che il suo viaggio nello spazio si sarebbe allargato alla dimensione del tempo. L’unico segno delle tante verità nascoste dietro le incrostazioni della storia, era il vecchio portale gotico del ‘200. Nient’altro. Ma durante i lavori di ristrutturazione di quello che sembrava un magazzino seminterrato, saltarono fuori i primi reperti. Dietro l’intonaco e sotto la pavimentazione giacevano cocci e vasellame di varie origini. Testimonianze e conferme della presenza di antiche civiltà sul colle Pancrazio. Era la metà degli anni novanta. Le cronache riportarono la notizia con enfasi. Ma Federico non si è fermato. Ha continuato a viaggiare, e soprattutto a scavare. E pochi giorni fa sono emerse altre sorprese. Immediata la segnalazione alla Soprintendenza che ha già effettuato un sopralluogo. Archeologi ed architetti hanno dimostrato grande professionalità, esaminando lo scantinato con meticolosa attenzione. La relazione parla di oggetti di notevole importanza. I pezzi più recenti risalirebbero al ‘700. Pietre che stuzzicano la fantasia, raccontando storie da brivido. La pavimentazione, infatti, è stratificata.

Dalle trame più profonde, affiorano frammenti di colonne romane, probabilmente trasferiti in quello che doveva essere il piano inferiore dell’antica torre dei Gradoni di Gaeta. Il trasloco potrebbe essere avvenuto dopo una calamità, o comunque in seguito alla distruzione di un vicino edificio sacro. Forse, una chiesa. Tracce di eventi funesti si annidano nelle fessure ed in ogni centimetro di muro. Pezzi di carbone ovunque. Basta grattare le pietre per ritrovarsi le dita macchiate di fuliggine, proprio come accade tra i ruderi di piazzetta Toscano. Un incendio deve aver stravolto la vita dei cosentini che abitavano in quell’edificio tanti secoli fa.

L’immaginazione si spinge al tempo delle mitiche invasioni. Anche le feritoie incastonate nella calce testimoniano il carattere di roccaforte, che sicuramente la struttura ebbe all’inizio dello scorso millennio. Tutto era funzionale ad una vita dignitosa in tempo di carestia ed assedi. A cominciare dalla limpida acqua che scorre sotto il secondo strato.

Un pozzo di captazione della pioggia, perfettamente funzionante, che gli esperti attribuiscono ai maestri artigiani del basso medioevo, nonostante la tecnica di travaso ricordi il metodo adottato dai romani. A pochi metri, un muro cantonale del ‘300 scorre dietro pietre coeve.

Il sindaco ha già tra le mani un progetto redatto personalmente da Federico Mazzei. Mancini avrebbe offerto piena disponibilità a sostenere la realizzazione nel sito di un piccolo museo etnografico, visitabile gratuitamente.

Bisogna fermarsi in silenzio a contemplare quelle vecchie mura. È possibile avvertire forti vibrazioni. Chissà quanti corpi, tragedie e sogni si sono consumati laggiù.

Claudio Dionesalvi

Il Quotidiano, 2 dicembre 2001

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