Il fascismo, una religione

Giammarco De Vincenzo, opera prima. Dal  microfono dei Nerds in Acid, storica punk-rock band cosentina, ai banchi dell’università di Perugia dove si è laureato in lettere moderne, ai tipi della Brenner che ha pubblicato un libro destinato a pesare come una colonna portante nell’edificio della conoscenza storiografica: “Mito e genesi della religione politica nazista”.
La presentazione di Giorgio Galli introduce un cofanetto di informazioni utilissime, una ricognizione sociologica sulle origini della cultura nazionalsocialista. La Germania antica e moderna, i suoi pensatori, i simboli inoculati da Hitler nella società tedesca, sono osservati al microscopio. Ne scaturisce un ritratto inedito, che ogni sincero naziskin, tutti i rude boys antifascisti e gli occhialuti studiosi dell’età contemporanea, farebbero bene a leggere. Perché Giammarco procede con ritmo penzolante, come al tempo in cui incantava la generazione cosentina ribelle con le note di “Scendere a sud”, o con la tagliente “Stato di polizia permanente”: Una farfalla sulla scena rock, un chirurgo nella scrittura analitica.
Così tanti luoghi comuni si sgretolano. Il primo feticcio culturale a cascare è la presunta natura esclusivamente politica del nazismo. Nulla di tutto ciò, Giammarco lo spiega chiaramente. Le fondamenta iconografiche, i riferimenti culturali dell’abominevole gorgo uncinato, poggiavano su una mitologia elaborata almeno un secolo prima del putsch di Monaco del 1923. Non di un semplice movimento edificato per conquistare il mondo e distruggere la libertà di trattò, dunque.
Bensì del risultato dell’incrocio tra teorie razziste sorte in Francia ed Inghilterra, occultismo, essoterismo e darwinismo sociale. Un’interpretazione storiografica che non tenga conto di questi elementi, e si limiti alla semplice lettura degli aspetti economici, sociali e politici, perderebbe di vista un aspetto essenziale della tragica avventura nazionalsocialista: la sua carica simbolica.
Sotto questa luce bisogna interpretare icone come la svastica e gli innumerevoli riti collettivi escogitati dallo “staff” dalla propaganda Hitleriana. Non semplici e formali strumenti di acquisizione del consenso, come accadde nel fascismo italiano. Bensì sostanziali atti di fede, nei confronti di una religione aberrante, ma ben strutturata. Chi ispirò il fuhrer? La risposta è nell’intensa attività dei circoli che si raccolsero intorno all’idea di “volk”: un principio secondo il quale un’identità etnica “si manterrebbe inalterata attraverso i tempi, legata indissolubilmente ad un luogo, alla terra”. Adolf Hitler è ancora ventenne quando gli ariosofi Guido von List e Lanz von Liebenfels diffondono i periodici Runen e Ostara. L’ariosofia si rifaceva ad una ipotetica sapienza occulta degli ariani, i suoi due principali esponenti erano attivi a Vienna negli anni in cui vi soggiornava Hitler. Secondo De Vincenzo, nell’impasto di arianesimo e culti germanici che formavano il sostrato attivo dell’ideologia nazionalsocialista, questi autori agirono come una scintilla sulla benzina. Anche l’odio per gli ebrei e i “diversi” era sedimentato in tali teorie alimentandosi dei millenari pregiudizi antisemiti di cattolici e luterani. La ricerca di un’origine leggendaria spinse i nazisti ad operare studi filologici ed archeologici. Nel libro si evoca la nota campagna di scavi che Himmler avviò nel 1937, sperando di recuperare a Cosenza la tomba di Alarico.
La ricognizione operata da De Vincenzo attraversa le origini della simbologia del III Reich, rasentando riferimenti bibliografici alti e chiamando in causa gli studiosi Enzo Collotti e Giovanni Sartori. Quest’ultimo, autore di preoccupanti esternazioni sul ruolo degli immigrati oggi in Europa. E l’interrogativo finale, posto da Giammarco, appare di straziante attualità: “Ma cosa è rimasto dell’esperienza più dolorosa del ‘900? Il razzismo è morto con esso e con il genio apocalittico di Hitler?”.
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 20 giugno 2002

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