Siamo gabbiani, non piccioni da impallinare

Per capire quanto si sia incattivita l’Italia bisogna salire su un treno e ascoltare i discorsi dei viaggiatori. Corvi e cornacchie s’annidano nei panni dell’Italiano medio. In verità, l’espressione “Italiano medio” m’è sempre parsa riduttiva e qualunquistica. Il motivo è semplice: non è possibile calcolare la media degli esseri umani, ciascuno dei quali è misurabile in altezza, peso, reddito, ma appare inverosimile quantificare desideri, limiti, aspirazioni e potenzialità delle persone.
Oggi appare più calzante una nuova figura: “l’Italiano media”, tanto sono identici tra loro i milioni di utenti che dai social media sprigionano rancore verso alcune tipologie etniche e lavorative. Fino a qualche anno fa l’hate speech, il discorso d’odio, era rivolto contro zingari, politici, insegnanti e altre categorie umane facilmente impallinabili. Adesso va di moda sparare addosso a nuovi piccioni: gli operatori sociali, i volontari, le persone che praticano solidarietà concreta. Agli usuali epiteti, “parassiti” “privilegiati” e “feccia”, si sovrappongono  nuove soluzioni denigratorie come “buonisti” oppure le vecchie definizioni, “puttana” e “ricchione”, condite da espliciti inviti a farsi “stuprare” dai neri. Le contumelie riservate alla Comandante Carola, che a Lampedusa ha sfidato i divieti salviniani pur di far sbarcare 40 naufraghi, ci ricordano una cosa semplicissima: per coprire la puzza che emana, un uomo di merda può solo tentare di evidenziare quanto puzzino gli altri, anche a costo di inventarselo il cattivo odore, se gli altri profumano di umanità. Razzisti per indole, analfabeti di ritorno, seguaci di un cristianesimo altomedievale, frustrati e depressi, incapaci di riconoscerle e scagliarsi contro le reali cause della crisi economica, impotenti dinanzi alla globalizzazione, milioni di italiani appartenenti a due classi sociali ben precise, l’ex ceto medio privo dei comfort di cui godeva nel secondo ‘900 (la borghesia fallita) e il sottoproletariato gentrificato (i poveri che s’atteggiano a ricchi) scaricano tutta la loro rabbia su noialtri che appariamo “deboli”, “buoni”, perché umanitari.
L’antidoto? Dobbiamo vaccinarci, inoculare nei nostri organismi il virus dell’odio, purché sia disattivato. E magari tornare a coltivare quella sana malignità di classe che ci animò per un secolo e mezzo. Fin quando continueremo a prendercela con agenzie di rating, banche, case farmaceutiche e multinazionali devastatrici, loro, gli intellettuali della xenofobia digitale, avranno gioco facile. Forti della propria cecità, fingeranno di non vedere e potranno vomitare idiozie sugli innocenti. A queste cornacchie del web, che spesso con formulette efficaci riscuotono milioni di consensi, dobbiamo tornare a urlare in faccia che parassiti e impotenti sono loro e chi li protegge: gli sfruttatori e i caporali, i politici di mestiere che blaterano ma nel concreto non fanno nulla, gli alti prelati che fingono di mediare con l’aldilà però maneggiano ricchezze sterminate e campano di rendita, i manager che nelle aziende pubbliche e private incamerano stipendi da fiaba e premi faraonici, i superprofessionisti della medicina, che lucrano sulle nostre malattie. E dobbiamo smetterla di apparire fragili. Mai più colombe, bensì gabbiani: preferiamo il mare, eppure siamo abituati a sguazzare tra i rifiuti e sappiamo beccare forte chi offende la dignità umana. È arrivato il momento di tornare a ferire i nostri concittadini che, incapaci di ribellarsi ai potenti, si accaniscono sui più deboli.
E che soddisfazione, ogni volta che scrivo cattiverie rivolte ai cattivi, constatare che nei social media qualcuno mi toglie l’amicizia! È sempre gratificante allontanare i falsi amici e soprattutto riuscire a far incazzare qualche idiota che si erge a salvatore della patria.
Claudio Dionesalvi

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