L’eresia in campo, a Riace il mondiale di calcio antirazzista

Il pallone rimbalza nei campi di calcetto ricavati in una terrazza incorniciata dallo Jonio. È lo stesso mare che ogni tanto accoglie, ma spesso respinge, annegandoli, migliaia di esseri umani. Il paesaggio di Riace stavolta ospita appassionati di sport popolare ed attivisti dei movimenti sociali.
DA MEZZA EUROPA ARRIVANO in Calabria centinaia di supporter organizzati per partecipare ai Mondiali Antirazzisti. Giocano a calcio, basket, beach rugby. Tra di loro, anche un po’ di ultrà. Sono quelli che non si sono lasciati trasportare dalla deriva paramilitare che sta investendo il fenomeno del tifo in Europa. Sessanta squadre, donne ed uomini: inglesi, tedeschi, mediterranei, africani, neri e bianchi, si sfidano in omaggio alla multiculturalità. Non ci sono arbitri: le partite si autoregolamentano. Al secondo grave fallo: sconfitta a tavolino! Quando una squadra è nettamente inferiore all’avversaria, se è sotto di due gol, può aggregare un giocatore durante la partita. È prevista la figura del «vagante», come da regolamento: «una persona che, per disabilità fisica o motoria, oppure per precoce età, non è del tutto consapevole delle dinamiche del gioco e può giocare per una squadra senza essere contata nel numero dei giocatori. Questa persona, se riceve la palla, non può essere pressata».
PROMOSSI DALLA UISP, giunti alla ventitreesima edizione, i Mondiali Antirazzisti quest’anno s’immergono in una Riace frastornata dalla sconfitta elettorale di Mimmo Lucano. In un clima festoso e sereno, tra pubblici dibattiti, boati d’esultanza che accompagnano i gol e dj set, appare surreale il presidio permanente dei tanti poliziotti e carabinieri che tengono d’occhio giocatrici e giocatori dei Mondiali della Uisp. Già si scorge l’ombra del neosindaco d’impronta leghista, Antonio Trifoli, che essendo titolare di un contratto a tempo determinato col Comune, stando al decreto legislativo 267 del 18 agosto 2000 sarebbe stato ineleggibile. Da vigile urbano precario non avrebbe potuto ottenere l’aspettativa prima di candidarsi.
NELLA PRIMA SERATA della manifestazione, in un camping, fuori dal territorio riacese banditogli dall’autorità giudiziaria, Mimmo Lucano accoglie i partecipanti e ripercorre con loro gli ultimi mesi: «La politica della Lega ha risvegliato l’atteggiamento culturale della mafia», ammonisce.
Poi elogia la filosofia sportiva del meeting: «È meraviglioso un calcio senza arbitri». A sostegno del torneo, come da sempre, anche la rete FARE che combatte le diseguaglianze e le discriminazioni nel football. Chiaro l’intento del network: «Ricordare le storie dei singoli che hanno lottato per sfuggire da situazioni drammatiche dei propri paesi d’origine, o semplicemente per poter migliorare la propria condizione personale attraverso lo studio e il lavoro». Sono tanti, tra i ragazzi impegnati ad inseguire un pallone nelle tre giornate riacesi, che per tecnica e vigore fisico potrebbero giocare nel calcio che conta.
MOLTI LAVORANO come riders o facchini della logistica. Alcuni vantano brevi esperienze nelle società del calcio dilettantistico italiano. In questi eretici mondiali, indossano le maglie di radicate polisportive ed improvvisate comitive, molte delle quali provenienti dai quartieri dei centri urbani meridionali: Catanzaro Social Team, Scampia Antirazzista, Spartak Lecce, Cosenza Mmishkata, Villa San Giovanni Meticcia. S’incrociano volti, muscoli e sudori. Come nella migliore tradizione di questo meeting, il pathos cresce al tramonto, quando si accendono i fuochi, la birra e i canti collettivi attraversano la spianata che accoglie linguaggi e colori diversi. Ferve l’attesa per la finale che si disputerà oggi alle 13. Il caldo sarà torrido, eppure la temperatura si manterrà mite tra i giocatori: dai quarti di finale tutte le partite si disputano solo ai calci di rigore. Gli organizzatori sono consapevoli di quanto purtroppo il gioco del football si presti ad innescare tensioni e possa sprigionare pulsioni aggressive. Ma non tra i partecipanti a questi Mondiali. Sui loro gadget e sulle magliette che indossano, riecheggia un vecchio slogan delle tifoserie antinaziste: «Al pallone non importa da chi è calciato».
Claudio Dionesalvi

il manifesto, 7 luglio 2019

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *