Il tribunale revoca il divieto. Ritorno a Riace per Lucano

Alle 16.40 del 5 settembre Mimmo Lucano ritorna nella casa di famiglia in cima alla salita che sovrasta il municipio di Riace. Dopo 300 infiniti giorni termina così il lungo e surreale esilio che una giustizia ingiusta gli aveva comminato il 16 ottobre scorso. Apparentemente più mite rispetto ai precedenti arresti domiciliari, in realtà, il confino era una misura decisamente politica che andava a intaccare alla radice il «modello Riace», allontanando coattivamente il suo artefice dal borgo multietnico. Era un’altra stagione politica, era nato il governo giallobruno e Salvini gliela aveva giurata a Lucano sin dal suo insediamento al Viminale: «Sei uno zero» gli aveva detto in pubblico. Ma ora che lo scenario nazionale è cambiato, quegli stessi giudici che avevano più volte respinto l’istanza di revoca del divieto di dimora, diventano di colpo più mansueti.
LUCANO rientra così a Riace e può accorrere al capezzale del papà malato di leucemia. Una piccola folla si è assiepata di fronte casa sin dal primo pomeriggio, una volta resa pubblica la notizia. I suoi amici, i suoi fedelissimi, la gente di Riace riabbraccia il suo sindaco. «Ora torno, fatemi andare a casa un attimo» ha gridato alle 16.25 al suo arrivo. Aveva fretta di tornare ad abbracciare il padre. «Ma davvero ti hanno liberato o è solo un permesso? Puoi rimanere qui sempre» gli ha chiesto l’anziano appena lo ha visto, quasi incredulo. Costretto a letto dopo l’ultimo ricovero all’ospedale di Catanzaro, ma lucidissimo, Roberto Lucano aspettava con ansia l’arrivo di quel figlio – «il più ribelle» specifica – che era abituato a vedere ogni giorno e che per 11 mesi ha potuto solo incontrare per qualche ora e sempre lontano da casa. «Sono qua papà, ora vedi come ti riprendi» ha continuato a ripetergli Lucano, commosso. Dopo la visita al padre durata quattro ore è uscito dall’abitazione. «Oggi mi sento come uno che ha appena riacquistato la libertà, proverò a riattivare sul posto il modello di accoglienza», ha detto al manifesto, «Quello che voglio fare stanotte – ha proseguito – è riabbracciare uno a uno gli immigrati che sono rimasti».
QUANDO la notizia lo ha raggiunto, Lucano era a Caulonia, a una manciata di chilometri da Riace. È lì, a pochi minuti di auto dal paese, in un appartamento disadorno, privo di riscaldamento che ha trascorso i mesi di esilio ed è lì che uno dei suoi avvocati gli ha ordinato di attenderlo, probabilmente per accelerare la procedura di notifica. Un passaggio tecnico per rendere esecutiva la decisione del tribunale. Corroborata anche da una petizione firmata da 90mila persone che chiedevano al presidente della Repubblica un intervento umanitario «in favore di un figlio che ha il diritto di assistere il padre morente, quindi l’immediata revoca del divieto di dimora». Lui in un’intervista a questo giornale aveva chiesto giustizia, non pietà. E un po’ di giustizia, in attesa della sentenza del processo, l’ha ottenuta. Perché non si è trattato di una deroga temporanea per motivi affettivi, ma di un vero e proprio provvedimento di revoca della misura.
L’EX SINDACO era stato esiliato dal suo comune nell’ottobre 2018, pochi giorni dopo essere finito agli arresti domiciliari con l’accusa di aver favorito l’immigrazione clandestina e commesso delle irregolarità nell’assegnazione del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti. Un vasto movimento di sostegno si era formato intorno alla figura di Lucano ed al modello di accoglienza praticato a Riace. Il primo cittadino del borgo jonico aveva rivendicato la propria condotta, affermando il carattere puramente politico e la limpidezza delle scelte attuate da amministratore pubblico. A convertire la misura dei domiciliari in allontanamento forzato dalla propria abitazione riacese era stato il tribunale del Riesame di Reggio Calabria. L’11 giugno scorso prendeva inizio il processo che vede imputati Lucano ed altri 25 operatori impegnati per anni a Riace nell’accoglienza e nell’amministrazione comunale.
Di recente anche la corte di Cassazione ha disconosciuto la misura coercitiva del divieto di dimora, disposta dagli inquirenti del tribunale reggino. Il tormentato duello giudiziario sulla misura del «confinamento» tra legali difensori e procura si è protratto fino a ieri mattina, quando finalmente l’istanza di libertà è stata accolta.
Il processo, invece, riprenderà a fine mese dopo la pausa estiva. Siamo ancora nella fase istruttoria e lo stesso Lucano è stato già ascoltato in un’udienza fiume in cui ha chiarito ampiamente la sua posizione. Ora, intanto, si può godere il ritorno a casa.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti
il manifesto, 6 settembre 2019

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