«Bio e moda etica battono le ‘ndrine»

Se qualcuno in Calabria avesse voluto davvero declinare l’abusata parola «rinnovamento» avrebbe dovuto bussare alla porta di Vincenzo Linarello, non certo a quella di Pippo Callipo. Cangiari (cambiare nel vernacolo di Calabria) è, anche, il nome che Linarello ha dato all’azienda di moda ecoetica – nata dal gruppo cooperativo Goel che lavora con i beni confiscati alla cosche – attiva nella realizzazione dell’alta sartoria prodotta con tessuti naturali. Goel è un’isola felice nella Locride, un gruppo di aziende solidali e della filiera etica che riunisce i produttori agricoli che si oppongono alla ‘ndrangheta. A pochi giorni dalle più pazze elezioni che la regione ricordi gli abbiamo posto alcune domande.
La Calabria è la regione che più delle altre in Italia arretra. Ha un tasso di disoccupazione alle stelle e servizi inadeguati. I giovani sono costretti a emigrare per trovare un lavoro e gli anziani obbligati ad andare nelle altre regioni per farsi curare meglio. La Calabria è isolata dal resto del Paese, senza infrastrutture che garantiscano anche un doveroso apporto turistico. Tuttavia il successo di Goel dimostra che ci sarebbe un altro modo di fare impresa al sud. Perché siete l’eccezione?
Intanto, abbiamo deciso come condizione imprescindibile di intrapresa quella di tener fuori la politica, la massoneria e di renderci impermeabili alle ‘ndrine. Tutto ciò avendo come cornice i nostri valori di base, riuniti nel Manifesto di Goel, quali tra gli altri il ripudio di poteri oppressivi e logiche clientelari, la democrazia effettiva attraverso la pratica diffusa della partecipazione e della sussidiarietà, l’equità sociale ed economica, l’incontro con le fasce più marginali, la salvaguardia dell’ecosistema. E poi la meritocrazia. Per me che ho una lunga storia di impegno nell’emarginazione sociale può sembrare un controsenso dare valore alla meritocrazia ma in Calabria, dove il clientelismo è ovunque, può essere l’antibiotico necessario. E, infine, cerchiamo di fare comunità, di interagire e cooperare tra settori diversi. La nostra è un’impresa comunitaria che nasce nella Locride e ormai si è allargata a buona parte della regione. Agricoltura, servizi sociali, moda. Tanti settori e tante persone che interagiscono accomunate da un unico progetto politico sociale, politico ma non partitico.
Goel produce ricchezza, crea lavoro e dà linfa a un tessuto solidaristico. A poche decine di chilometri, nella piana gioiese impera lo sfruttamento lavorativo, il degrado abitativo e l’abbandono dei territori. A 10 anni dalla rivolta di Rosarno niente è cambiato. Perchè?
Io distinguerei il caporalato dalla questione immigrazione. Goel Bio raggruppa i produttori della Locride e della Piana che si oppongono alla ‘ndrangheta, garantisce una condotta aziendale etica e offre prodotti tipici di alta qualità dimostrando che solo la qualità del prodotto permette condizioni lavorative dignitose. Se tu paghi agli agricoltori 5/10 centesimi al kg le arance va da sé che loro non potranno dare una paga equa ai raccoglitori. I nostri prodotti sono certificati biologici e offrono garanzia di qualità, eticità e legalità. La legge sul caporalato è sbagliata perché vede solo l’ultimo miglio della filiera. Noi invece partiamo dal primo anello. Paghiamo le arance 40 centesimi al kg, il prezzo più alto pagato in Calabria. E il caporalato lo combattiamo davvero imponendo agli agricoltori di non sfruttare i braccianti anche a costo di fare causa a chi sgarra per danno d’immagine.
Ritieni che «lo stato di guerra alla ‘ndrangheta» di recente evocato da esponenti politici dei diversi schieramenti sia idoneo a contrastare la mafia? Non c’è il rischio che il sistema basato su misure estreme come il 41 bis serva più che altro a potenziare il carisma della mala? Molte aziende socie di Goel sono state vittime di attentati. Pensi che il potere delle cosche vada combattuto esclusivamente sul campo militare?
Non basta solo l’intervento repressivo. Ci vuole una forte iniziativa culturale. L’appello del giudice Gratteri a riempire gli spazi che vengono svuotati lo facciamo nostro ma occorre un cambio di marcia nella società senza il quale le ‘ndrine non verranno mai sconfitte sul serio. Comunque io credo che la criminalità ora si trovi in difficoltà perchè il flusso di fondi pubblici,il rubinetto su cui si abbeveravano cosche e logge, è a singhiozzo.
I beni confiscati alle cosche sono sempre gestiti in modo etico? La riforma che prevede la messa all’incanto dei beni requisiti va decisamente in un altro senso. Qual è il tuo giudizio sul sistema di confisca?
Questa è una controriforma. La vendita all’asta è pericolosa. Il nuovo sistema, oltretutto, è per niente trasparente. Non lo è nelle informazioni (il sito dell’Agenzia nazionale è un labirinto) e non lo è nel processo di assegnazione dei beni. I bandi sono oscuri e difficilmente fruibili. Abbiamo fatto un esperimento e per avere risposta dall’Agenzia c’è toccato mandare 40 raccomandate. Sul sito la procedura viene spigata poco e male. E poi, naturalmente, c’è il pericolo che la vendita all’asta riporti i beni ai mafiosi.
Di cosa ha bisogno chi fa impresa sociale in Calabria? Cosa chiederesti al prossimo governo regionale? Riuscirà davvero la Calabria a rinascere dopo decenni di sciatteria burocratica, fameliche consorterie e ruberie inaudite?
Bisognerebbe ripartire rivoluzionando i due comparti, in teoria fiori all’occhiello, agricoltura e turismo. Versano in uno stato di crisi drammatico. L’olivocultura e l’agrumicoltura stanno scalando le classifiche al contrario. Soffrono la concorrenza della Sicilia e della Puglia in Italia, della Spagna e della Grecia in Europa e dell’America Latina. Per un altro sviluppo agricolo bisogna puntare su biodiversità e ricerca. Ma per farlo bisognerebbe finalmente saper spendere i fondi pubblici che o vengono distratti per fini criminali o, ancor peggio, non vengono spesi proprio. In questo siamo ancora il fanalino d’Europa.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti

il manifesto, 23 gennaio 2020

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