Scuola italiana: cosa abbiamo imparato dopo due mesi di lezioni a casa

“The Guardian”, 24 aprile 2020.

Tobias Jones

la foto di Stefano De Grandis è tratta dal sito di “The Guardian”.
versione integrale della conversazione tra Claudio Dionesalvi e il giornalista e scrittore inglese Tobias Jones (in italiano): 
Come sintetizzeresti i vari problemi della scuola italiana? Avendo tre figli in varie scuole ed una suocera (ex) insegnante, ne so qualcosa, ma mi piacerebbe sentire da te, soprattutto se ci sono elementi peculiari riguardo il sud e in particolare la Calabria.
Negli ultimi due decenni la scuola pubblica italiana ha vissuto la stessa aggressione neoliberista che si è verificata nella sanità. Colpa dei vari governi che si sono avvicendati al potere! Il risultato è che negli ospedali mancano strumentazioni, posti letto e personale. Nelle scuole invece è un terno al lotto: quelle in cui presidi, docenti e collaboratori sono validi, funzionano benissimo. Altre sono un disastro. La scuola-azienda ha affrontato la pandemia e la sospensione delle lezioni con un’impreparazione vergognosa, dopo aver speso per anni miliardi in formazione fasulla e tecnologie spesso lasciate marcire negli scantinati. Se non fosse stato per quelle decine di migliaia di insegnanti che spontaneamente il 5 marzo scorso si sono rimboccati le maniche e autoformati in poche ore, non sarebbe stata attivata nessuna didattica a distanza. Visto che nelle scuole come negli ospedali i manager hanno fallito, la speranza è che in futuro non saranno mai più considerate “aziende”. Molte scuole del sud funzionano anche meglio di quelle del nord. Migliaia di insegnanti oggi in servizio nel Mezzogiorno hanno alle spalle anni e anni di gavetta in giro per l’Italia. E tantissime scuole settentrionali continuano a reggersi grazie ai professori meridionali emigrati al nord per necessità. Sono i più giovani e spesso i migliori! Come negli ospedali!
 
La tua scuola era pronta per la didattica online?
Da quasi vent’anni insegno nella scuola media dell’Istituto “Troccoli” di Lauropoli, in una popolosa frazione di Cassano, un comune di notevoli dimensioni della costa ionica cosentina. La mia è considerata una “scuola di periferia”, ma come spesso accade, è proprio in questi istituti che la qualità dei rapporti umani e della didattica, i livelli di organizzazione interna e innovazione tecnologica, sono molto alti. Con i colleghi e le colleghe lavoriamo insieme da tanti anni, conosciamo bene il territorio, i ragazzi, le famiglie. E loro ce lo riconoscono. Abbiamo una preside, un vice e un DSGA elastici, laboriosi, preparati. Continuano a studiare, sebbene non siano più giovanissimi. E non appesantiscono gli insegnanti con riunioni e adempimenti burocratici estenuanti. Il risultato è che la scuola funziona. Senza alcun preavviso, il 4 marzo scorso il governo ha ordinato la sospensione delle lezioni. Ventiquattro ore dopo, in totale autonomia dal Ministero, eravamo già pronti a lavorare tramite il web. Il giorno successivo alcune delle nostre classi erano in piattaforma. E poi io ho due consulenti digitali d’eccezione. Il primo ha 11 anni, si chiama Igor ed è un mio alunno, una versione junior di “Mr. Wolf” nel film “Pulp Fiction”: risolve tutti i problemi, mi basta mandargli una mail, cioè la cara, vecchia, insostituibile posta elettronica. Il secondo è Gaetano Zaccato, un collega di matematica, una specie di “Mastro Geppetto” dell’informatica: sarebbe capace di riparare un’astronave aliena in avaria nello spazio, rimanendo a casa e smanettando con lo smartphone.
 
Cosa ti manca della scuola?
A volerla prendere con leggerezza, per uno come me la didattica a distanza è uno strano videogame, oltre che un lavoro impegnativo. Ma in fondo è una tortura! Nella scuola reale, sono abituato a fare lezione con i ragazzi all’aperto, giocare a pallone con loro, entrare in classe saltando dalla finestra, andare nelle loro case quando sono assenti da troppi giorni e c’è il rischio che abbandonino la scuola. Concepisco il mio ruolo didattico come quello di un clown: amorevole, giocoso e a tratti anche severo, quando si tratta di studiare o rispettare le persone e l’ambiente circostante. L’insegnante deve essere un attore. Non può stare rintanato dietro una cattedra o, peggio, davanti a un monitor: rischia di diventare bidimensionale, un personaggio televisivo, artificiale e artificioso.
 
Il contenuto delle lezioni è cambiato? Insegni cose diverse adesso o stai seguendo il percorso scolastico previsto?
È in discussione il nostro ruolo di insegnanti, sin dalle fondamenta. C’è il rischio serio di essere sostituiti da una macchina. D’altronde, da ormai più di un decennio, gli smartphone hanno colonizzato le nostre vite. Sarebbe davvero paradossale pretendere di spegnerli proprio adesso che a qualcosa possono servire. Dell’importanza di quelli che chiamo “smerdphone” ho preso atto molto tempo fa. Sebbene io mi rifiuti di possederne uno e di norma non tolleri la presenza di questi dispositivi in aula, a volte riconverto i cellulari dei ragazzi a uso didattico, proprio in classe, insieme alle altre nuove tecnologie, integrando le metodologie didattiche tradizionali: l’antica lavagna in ardesia, oltre alla L.I.M.; i tablet e il vecchio compito di Italiano su fogli protocollo, una volta al mese e con tre tracce; i quiz di Kahoot, senza però rinunciare alle classiche interrogazioni. Tutto ciò mi sta tornando utile in questi giorni difficili. Per noi insegnanti, oltre a un modo per mantenere i contatti con gli alunni e le alunne, la didattica a distanza può rappresentare un’opportunità per autodisciplinarci: presuppone lunghissimi tempi di autoformazione, correzione dei compiti, ordine nella gestione del desk, precisione e programmazione delle attività, soprattutto tanta fantasia, collegamenti multimediali con il cinema, le arti in genere. Inoltre la piattaforma che utilizziamo nella scuola in cui insegno, consente di videoregistrare le lezioni. Ciò comporta capacità di rivederle, quindi mettersi in discussione, guardandosi allo specchio.
Mi pare di ricordare che tu abbia delle famiglie disagiate nella tua scuola – quanto è stato difficile coinvolgerle? Avete dovuto trovare loro dei portatili / tablet ecc? Hanno tutti una rete wifi oppure broadband sufficiente?

Il contesto sociale non era agiato prima della Covid19. Adesso la situazione è drammatica per tutti. Mentre faccio lezione, capita pure che in cuffia mi arrivino le urla di genitori disperati per la perdita del lavoro, esasperati dall’isolamento domestico. È vero che le istituzioni hanno distribuito i tablet tra i ragazzi sprovvisti dei dispositivi per partecipare alle lezioni. Ma il vero problema è il digital divide: la connessione in ampie aree del territorio è intermittente e a bassa velocità di download e streaming, le reti viaggiano a pochissimi mega. Il primo provvedimento del governo quindi dovrebbe essere l’accesso gratuito al WiFi per tutti. Ogni mattina, verifico quanti alunni entrano in piattaforma e telefono, uno per uno, a quelli che non vedo presenti. Li assisto nelle procedure di accesso. Ma in questa situazione mi rifiuto sia di verbalizzare le assenze, sia di attribuire voti ai compiti che svolgono. Mi limito a congratularmi con loro quando me li inviano, però non c’è alcun richiamo verbale per quelli che non lo fanno. È inutile far finta che tutto sia regolare. La verità è che da ormai quasi due mesi il diritto all’istruzione non è garantito a tutti! Nelle classi in cui insegno, la frequenza delle lezioni digitali si attesta su livelli ottimi: un buon 85% degli alunni è presente in piattaforma quasi ogni mattina, ma è quel restante 15% di dispersi che mi preoccupa, come accadeva già nella scuola reale. Si aprono tanti problemi. Non potendo guardarli negli occhi, non riesco a capire quanto efficace sia la mia lezione. Come posso registrare la presenza di un ragazzo che non so nemmeno se ci sia davvero dall’altra parte del monitor? Si può valutare il rendimento di un alunno che perde in continuazione la connessione? E come potrei dichiarare assente una ragazza che ha un pessimo device o una situazione familiare tragica che le impedisce di presentarsi serena davanti al display? Succede raramente, per fortuna, ma a volte, quando si intensificano i problemi di connessione, sembriamo cani che ululano nella notte. Se nella scuola reale, quando programmo un compito in classe di Italiano e la mattina in cui dovrebbe svolgersi m’accorgo che tanti alunni sono assenti, annullo il compito e lo rinvio. Devo essere coerente nella scuola virtuale.
 
Hai visto dei lati inaspettati nei tuoi studenti data la forma diversa delle lezioni? (Una cosa che ho sentito da vari insegnanti – che un’alunna timida all’improvviso è più a suo agio ecc.)
È vero: tante situazioni si sono ribaltate. Molti ragazzi avvertono lo stesso nostro problema in questi giorni: mentre consegnano la propria immagine a una webcam, è come se si stessero guardando allo specchio. Non sempre è facile. Può avere un contraccolpo psicologico. In generale, comunque, stanno rispondendo con grande partecipazione, entusiasmo, senso di responsabilità. Proprio ieri ho raccolto esercizi di grammatica, testi, report e poesie che hanno scritto negli ultimi giorni: precisi, bellissimi, carichi di contenuto! Molti di loro hanno capito che in questa circostanza non si tratta di impegnare il tempo, ma di liberarlo: studiare, leggere, scrivere, disegnare, suonare, è qualcosa di piacevole. L’ozio creativo non è sofferenza. A volte purtroppo siamo proprio noi insegnanti a rendere lo studio un tormento.
 
E nel contesto domestico, quali sono state le sfide / soddisfazioni più notevoli?
Mia figlia ha l’età dei miei alunni. Ho quindi la possibilità di vedere la questione da una doppia angolazione. Ci sono miei colleghi stupendi, che si stanno facendo in quattro per mantenere le relazioni con i ragazzi e garantire la prosecuzione della didattica. Alcuni docenti rispondono ai messaggi degli alunni in piena notte. E ci sono anche, come sempre accade, gli imboscati, quelli che si sono resi irreperibili. Ma non bisogna accanirsi contro di loro. Tanti professori sono davvero in crisi, per la condizione psicologica di isolamento o perché non hanno voluto o potuto imparare a usare queste diavolerie tecnologiche. Di computer e cellulari fanno un uso analogo agli elettrodomestici: digitano pochi tasti per le funzioni essenziali. Sul versante opposto e per motivazioni differenti, appaiono più inquietanti i docenti in ansia da performance, che proprio non riescono a respirare senza propinare questionari, attribuire voti, produrre burocrazia digitale. Qualcuno s’ostina addirittura a ordinare ai propri alunni di stampare schede, sebbene le cartolerie e i negozi di computer siano chiusi da oltre un mese. I più patetici sono quegli “animatori digitali” che negli ultimi anni si sono formati per la didattica a distanza. Ce ne sono alcuni molto bravi, tuttavia non mancano quelli privi non solo di rapporto con la macchina, ma pure con i ragazzi. Se non si ha la capacità di essere relazionali nella scuola reale, in quella a distanza si diviene più freddi del computer. Terribile! Sembrano tanti “Hal 9000” del film di Kubrick.
 
La scuola tornerà alla normalità a settembre o questo esperimento con nuove forme di lezioni cambierà per sempre il modo di far scuola?
Bisognerà ripensare la didattica, soprattutto di materie come Italiano, Matematica, Scienze, Lingue straniere, Tecnologia. Dovranno essere calate nella realtà, praticate, vissute. Non però nella direzione imposta dalle recenti riforme, che hanno cercato di asservire l’apprendimento scolastico al sistema delle imprese. Altro che alternanza scuola-lavoro! Piuttosto, c’è bisogno di alternare la scuola allo studio giocoso, rinfocolare passioni. I ragazzi dovrebbero riprodurre nelle proprie famiglie ciò che imparano a scuola, vivere i musei, siti archeologici, biblioteche, teatri, cinema e luoghi di interesse storico, naturale, paesaggistico. Per il resto, non saprei prevedere cosa accadrà nella scuola. Dipenderà tutto dall’esito dello scontro fra l’umanità e il virus. In ogni caso, sarà comunque una vittoria amara, perché avremo lasciato sul campo migliaia di morti, parenti, amici, persone care, per non parlare del disastro sociale che si prefigura. Se non fioriranno dei movimenti di pressione sui poteri politici ed economici, saranno ancora una volta i poveri a pagare i costi della crisi provocata dalla pandemia. E in tutti noi, a prescindere dalle condizioni materiali di vita, resterà un senso di inquietudine. Ora il mio dovere di insegnante, oltre a spiegare la grammatica, la storia e tutto il resto, è risvegliare nei ragazzi l’amore verso tutto ciò che ci manca e che prima o poi torneremo ad assaporare. Infine, con Papa Francesco, richiamare la loro attenzione su quanto di bello e piacevole stiamo vivendo in questi giorni: i supermercati chiusi la domenica, il riciclaggio della carta per stampare le autocertificazioni, il silenzio ogni mattina quando ci svegliamo, l’annullamento delle prove Invalsi, la riduzione degli stipendi dei calciatori di Serie A, il tempo che dedichiamo agli affetti, l’aria libera da smog, il cielo sereno e limpido, le stelle come non le avevamo mai viste, e forse non le rivedremo più, quando torneremo nella cosiddetta “normalità”.

1 Comment
  • Barbara De Santis
    aprile 24, 2020

    Sei un grande, il professore che tutti vorrebbero, io per prima per mio figlio. Analisi precisa come sempre. Un abbraccio virtuale con la stima e l’affetto di sempre.

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