L’agosto degli immigrati

Il mese di luglio lascia il posto alle quattro settimane più “infernali” dell’anno. Agosto riserva pericoli ed insidie a quanti non possono lasciare la città. Anziani, disabili, malati, famiglie indigenti ed immigrati devono fare i conti con la desertificazione dei marciapiedi e degli uffici. Tra le tante emergenze dell’estate, passa inosservato il dramma dei cittadini senza carta d’identità: quei soggetti provenienti da altri continenti –  i cosiddetti “extracomunitari” – che vivono in una situazione drammatica e spesso più tragica delle altre categorie deboli. La giornata di un immigrato, infatti, è strettamente legata alla presenza di gente nelle strade. Un semaforo solitario non trattiene alcun parabrezza da lavare. Quindi, niente mancia. Le strade senza massaie, studenti ed impiegati non filtrano briciole di pane e spiccioli. Di conseguenza, niente elemosina. La stazione dei pullman, spoglia e desolata, priva del flusso proveniente dai paesi, non garantisce a chi vive con una bancarella la possibilità di portare il denaro a casa per andare avanti. Gli immigrati che hanno scelto di vivere a Cosenza, non arrivano dalle grandi metropoli del nord Africa o dell’est europeo. Nella maggior parte dei casi, provengono da centri periferici e questo li porta ad avere un ritmo lavorativo analogo a quello che adottavano nei loro paesi. Un immigrato originario della periferia di Casablanca, per esempio, utilizza piazza Autolinee come se fosse il centro commerciale del suo paese. A Casablanca venderebbe pecore. Ma siccome è a Cosenza, commercia radioline, accendini e braccialetti. In Marocco, la rete ferroviaria collega le principali città, ma i piccoli centri limitrofi sono serviti da pullman che si trasformano in luoghi per la socializzazione. Forse per questo motivo, gli immigrati nordafricani cosentini stazionano nella zona di piazza Fera, dove riproducono un modello di socialità ed esistenza analogo a quello della loro terra. Marocchini, cinesi, filippine e polacchi non possono risparmiare denaro. Non sono impiegati o lavoratori con un guadagno fisso. Il misero reddito percepito è appena sufficiente a sopravvivere. Mediamente un immigrato spende ogni giorno dalle 20 alle 25mila lire per mangiare e bere.
I meno sfortunati – gli ambulanti – riescono a prendere in affitto un “stanza” (le virgolette sono obbligatorie). Il costo si aggira intorno alle 300mila lire mensili. Gli immigrati senza un tetto, nel comprensorio di Cosenza, sono centinaia e trovano un ricovero nei luoghi meno frequentati: aree dismesse, vecchi capannoni e strutture pubbliche abbandonate. Le domestiche hanno vitto e alloggio garantito, ma di fatto rinunciano ad esistere, perché lavorano 24 ore su 24, con la continua minaccia di essere rispedite in mezzo ad una strada. E per le ragazze questa prospettiva significa una sola parola: prostituzione. Nelle condizioni in cui sono costretti a vivere, gli immigrati hanno una sorta di cordone ombelicale forzato che li lega ad un apparato di sfruttamento. Prostituzione, lavori servili e al nero, elemosina, assistenza domiciliare nelle case della media borghesia cosentina, vengono rappresentate dall’opinione comune come una sorta di “parassitismo” che sottrarrebbe opportunità lavorative ai disoccupati locali. Si tratta, invece, delle forme di sudditanza che ci riportano in pieno medioevo.
Nei mesi caldi, questa condizione diventa esasperata. La scorsa estate, a Cosenza, si sono verificate due risse tra immigrati, che hanno scatenato un ingiustificato allarme nella popolazione. In realtà, era scattato tra i nordafricani quel meccanismo spietato di selezione, tipico della lotta per la sopravvivenza. Uno dei marocchini coinvolti, il “berbero”, che lavava vetri in piazza Fera, è morto qualche settimana dopo, schiacciato da un camion nei pressi di Salerno. L’estate entra nel vivo. Gli immigrati si confrontano con la morte.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 23 luglio 1999

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