L’atto d’accusa di don Pietro Martucci

CASSANO JONIO – Carmine aveva gli occhi chiari ed un viso solare. Era un bimbo bellissimo. Ma forse questo dettaglio non interessava a chi lo ha ucciso. I colori della morte sono il bianco ed il nero. Gli insegnanti del 16enne ammazzato domenica sera, invece, ricordano bene quello sguardo: vivace e pungente. Nell’evocarlo, piangono, come fosse morto un figlio loro. È Don Pietro Martucci, parroco della chiesa “Presentazione del Signore”, a far suonare le campane della coscienza. Pane al pane, vino al vino, il giovane prete lancia un atto d’accusa globale, perché nessuno si senta estraneo a quest’ennesimo delitto: “Ci sentiamo isolati. Lo Stato investe in strutture fittizie e poi non sostiene con mezzi adeguati le politiche sociali portate avanti anche dalle comunità parrocchiali. Il fatto non ci scoraggia, perché la nostra missione fondamentale è quella di evangelizzare, confidando nell’aiuto del Signore, però sta di fatto che qui ognuno bada alle sue cose”. L’analisi del rapporto tra istituzioni e territorio, è impietosa: “La Politica continua ad operare scelte, le cui conseguenze si ripercuotono nei piccoli centri. Il frutto di questa cultura improntata sul nulla, è la mancanza di responsabilità sociale. Si è perduta, inoltre, la verità sull’Uomo”.
Nella lettura degli ultimi tragici eventi, Don Pietro non ha dubbi: “Siamo di fronte ad un imbarbarimento. Ed a farne le spese sono i più giovani. Questa comunità è fondamentalmente sana, perché composta da persone laboriose, la maggior parte delle quali presenti a Lauropoli dopo un periodo di lunga assenza dovuta all’emigrazione. Hanno voluto realizzare qui il frutto dei loro sacrifici, però è rimasta una grave lacuna culturale. Vivono l’esperienza della famiglia in termini familistici, sconfinando in un perbenismo di facciata, che rasenta la amoralità. La vera povertà del nostro territorio è culturale, per mancanza di senso dell’Altro. In parole povere, ognuno pensa che se i fatti suoi vanno bene, allora tutto va bene”. L’unica possibile risposta a questa subcultura è nell’azione solidale. Don Martucci rivendica il suo ruolo di educatore e attacca la scuola disegnata da Berlinguer e Moratti: “I ragazzi sono diventati merce. Mi chiedo se la scuola sia ancora preoccupata di avere un ruolo formativo. Si sta riducendo ad una semplice agenzia di elaborazione dei progetti. Ma è terribile. Così gli alunni passano dalla condizione di soggetti a quella di oggetti. E non sono più capaci di recepire i grandi insegnamenti della storia”. Nella realtà esterna i risultati si vedono, ed inducono ad una considerazione di respiro più ampio: “Le mode culturali che pensano di sostituirsi alla natura, immiseriscono il tessuto sociale. L’economia, ormai, è padrona di tutto. Un esempio? A Doria, qui vicino, vorrebbero costruire una centrale a metano. Ai promotori del progetto, evidentemente, non importa nulla degli effetti nocivi di una simile iniziativa. Porta denaro – dicono – e allora che si faccia. Ma gli stili di vita basati più sulla quantità che sulla qualità, ci fanno perdere di vista il vero significato dei soldi, che non sono il fine per il quale esistiamo, bensì un mezzo per esercitare la carità. Che non è l’elemosina, bensì la condivisione dell’Altro e dei suoi bisogni”. Nell’individuare le responsabilità sociali e morali della guerra che sta insanguinando Lauropoli, Don Pietro ammonisce: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra, e guardi – conclude –, proprio qualche giorno prima che accadesse quest’ultima terribile tragedia, ad alcuni ragazzi del paese avevo detto che se nel mondo c’è del male, la colpa non è nostra, ma diventa nostra se il male rimane”.
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 6 novembre 2002

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