Il primo giorno di Viky

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Primo settembre, si rientra in servizio. Il viaggio con Vincenzina dura una sessantina di minuti. Ogni giorno, due ore aggiuntive di lezione, perché in macchina si finisce a parlare solo di scuola. Settanta chilometri più settanta al dì. “E ci è andata bene… ”.   Vincenzina, detta “Viky”, ha quarant’anni; dodici di dura precarietà sulle spalle. Tipica faccia tonda, sorridente, da mamma-insegnante del sud: “Tempo fa ho lavorato in un Istituto Comprensivo che aveva una sede staccata distante 180 chilometri dalla centrale. Dovevo fare la spola. Pensa tu!”.
In auto la radio è il miglior antidoto contro il sonno; vomita le ultime sentenze del ministro Brunetta: “… via i supplenti, abbassano la qualità della didattica”. Viky reagisce sbuffando. Quando tutto cominciò, pure lei era supplente ad intermittenza. Adesso che riesce a recuperare un incarico annuale, sempre precaria rimane: “Vorrei far provare al ministro quello che proviamo noi quando a fine estate ci convocano per assegnarci le cattedre a tempo determinato”. Mattinate di tensione, attese, svenimenti e addirittura qualche volta si arriva allo scontro fisico. Perché è vero che i provveditorati sono computerizzati. Però ogni anno le graduatorie ed i trasferimenti sono fluttuanti. Nonostante gli Uffici scolastici provinciali siano in possesso di tutti i  dati, l’insegnante non può distrarsi. È una specie di gioco a premi. Se sbaglia una virgola nel compilare i modelli prestampati, o se va al bagno mentre lo chiamano per scegliere la sede, è tagliato fuori.
Alla radio il ministro Gelmini proclama il ritorno di grembiuli e voti in condotta… stop ai “bulli”. Anche il suo collega Maroni le spara grosse: “accompagnamento coatto a scuola per i piccoli rom”. Mentre l’automobile di Viky entra nel cortile dell’Istituto Comprensivo, parte un altro sbuffo: “… ma Maroni e Gelmini hanno mai visto come si svolge una mattinata in classe? Roba da Pinocchio! Te l’immagini i carabinieri che acchiappano gli alunni rom e li portano tra i banchi?! Sì, carabinieri al posto dei docenti che il governo ha “tagliato”. Quante chiacchiere! Questo governo e i precedenti, due cose dovevano fare: stabilire un tetto massimo di alunni per classe; rivoluzionare il reclutamento degli insegnanti e favorirne un’Altra formazione. Se prima di entrare in un’aula noi docenti facessimo un lungo tirocinio sociale, saremmo più motivati a lavorare con ragazzi che, in centro come in periferia, crescono nel vuoto culturale e nell’aggressività domestica. Siamo impreparati ad affrontare situazioni difficili”.
La formazione obbligatoria non funziona. Molti presidi-manager chiamano e pagano esperti… “amici” loro. Si perdono interi pomeriggi a parlare del nulla. È più o meno la stessa mentalità che s’impone per i progetti: quando vengono approvati, i dirigenti racimolano soldi. Quindi l’importante è che si realizzino. Non conta come si svolga un progetto, né con quali risultati. Sono stati soprattutto i governi di centro-sinistra a conferire tutto il potere ai presidi, convinti che aumentando la “produttività” e il tempo di lavoro, cresca la qualità dell’insegnamento. Ma i cervelli degli alunni non sono bulloni da avvitare.
All’arrivo a scuola, Viky abbraccia i colleghi. Ci sono pure i docenti dell’Elementare. Si formano capannelli. Uno dei più anziani parla con rabbia: “… non bastava il maestro unico. Ora c’è pure ‘sto Brunetta che vuole aizzarci contro le famiglie. Ma che cosa ne sanno i politici di quel che facciamo per i ragazzi? Li alleviamo come figli. Quando si disperdono, andiamo di persona nelle loro case a recuperarli. E devo sentirmi chiamare fannullone da ‘sto… ”.
La novità è proprio questa. L’effetto boomerang! Tra gli insegnanti, riaffiora il risentimento verso chi governa. Se Brunetta voleva soffiare sul fuoco del rancore che spesso aleggia sulla classe docente, rischia di restare ustionato dal ritorno di fiamma. “Bisogna bloccare gli scrutini”, tuona uno dei colleghi di Viky afferrandola per un braccio. “Ma siamo troppo divisi… ”. Sguardi di rassegnazione. Il problema è che i professori più consapevoli perdono tempo dietro ai sindacati, invece di costruire pezzi di Altra istruzione all’interno dell’autonomia scolastica.
Entra il preside in sala. Silenzio. Inizia il Collegio: “ POF, PSP, PEI, progetti, prove Invalsi… ”, chissà perché nella scuola-azienda tutto comincia con la P… ”.
La mattinata di Viky scorre così, sonnolenta e passiva. L’unico sprazzo di vita all’uscita dal Collegio docenti. Da una vicina piazza, i suoi alunni la vedono. Sono in tanti. Corrono all’impazzata e l’abbracciano tutti insieme: “Professore’, che bello! Sei tornata. Avevamo paura che t’avessero trasferita”.
Claudio Dionesalvi
CARTA settimanale, n° 33 settembre 2008

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