Il ’68 visto dai cosentini. Amarcord multimediale

A trent’anni dall’ondata rivoluzionaria più creativa del secolo Cosenza discute sul ‘68. Uno dopo l’altro, i protagonisti di quella stagione scendono in Calabria per tenere conferenze e presentare libri. A promuovere il dibattito è soprattutto la libreria Luim che nel mese scorso ha invitato Mario Capanna e nelle prossime settimane ospiterà l’ex brigatista Barbara Balzerini. Frammenti di storia, scontri di piazza e corpi in movimento si sovrappongono nella ricostruzione di una memoria che pesa sul presente. A Cosenza, come in ogni angolo del pianeta, il “68” è solo una comoda etichetta per riassumere un lungo periodo di lotte, che in realtà non si è mai esaurito. Tuttavia, è possibile ricostruire una cronologia degli eventi. In città, i primi segnali di inquietudine si manifestarono negli incidenti avvenuti il 16 ottobre 1968 sotto la sede dell’Opera Sila. In quella circostanza, studenti, giovani ribelli e braccianti si scontrarono con le forze dell’ordine. Episodi analoghi accaddero durante un sit-in di protesta contro le autorità cittadine, riunite nel cinema Citrigno. E, ancora, in occasione di una contestazione all’Accademia Cosentina. Non bisogna infine dimenticare la data del 2 marzo ‘69, quando su corso Mazzini, sotto la sede del Msi, avvenne una battaglia tra antifascisti e forze dell’ordine. Quel movimento s’intrecciava con la lotta per la nascita di un’università in Calabria, che portò i giovani ad occupare l’autostrada e il “Rendano”. Nel teatro la polizia intervenne in modo brutale, sgomberando l’edificio e mandando in ospedale decine di manifestanti. Per uno scherzo della storia, fu proprio l’Università ad ospitare la continuazione naturale di quella stagione. Nel corso degli anni settanta, sul territorio calabrese fu soprattutto Arcavacata la scena della grande rivolta che periodicamente traboccava nelle strade del centro cittadino. Gli avvenimenti cosentini riflettevano come un piccolo specchio i movimenti di tutto il pianeta.
Giovedì scorso, alla Casa delle Culture, Marco Bascetta, giornalista de “il Manifesto”, ha presentato un Cd-Rom che ripropone in modo enciclopedico le giornate del ‘68.
Bascetta, che senso ha parlare ancora di quegli anni?
 «Si tratta di un lavoro che è stato reso possibile grazie ad un finanziamento della Cee ed è reperibile in tutte le edicole e nelle librerie. Abbiamo usato lo strumento multimediale, perché è l’unico che permette una ricostruzione storiografica. Quindi video, audio e materiale cartaceo. All’inizio del Cd-Rom sono presenti una ventina di filmati, che cercano di cogliere le situazioni più forti e significative di quell’anno in tutto il mondo. Per l’Italia ne sono presenti due: la battaglia con la polizia a Valle Giulia e le prime lotte operate al petrolchimico di Marghera».
Quante copie del Cd-Rom sono state vendute?
«Circa ottomila in edicola e tremila in libreria».
Spesso si parla di un rapporto tra il ‘68 e la lotta armata. Quali sono i legami tra i due fenomeni?
«Il movimento ha condizionato la storia del Paese negli ultimi trenta anni e di conseguenza ha pesato anche su quella pagina di storia».
Quali sono gli effetti del ’68 nel presente?
«Quel movimento era unico e quindi possiamo considerarlo chiuso. Tuttavia, ha prodotto risultati importanti. Per esempio, ha contribuito ad attenuare la separazione tra le classi della società italiana. E poi ha posto problemi che tuttora sono aperti: l’imperfezione della democrazia, la lontananza tra popolo e governanti, l’arroganza dei poteri. Inoltre, ci sono cose che in questo Paese sono diventate impronunciabili dopo il ‘68. Per esempio il razzismo. Il culto sfrenato della gerarchia è stato messo in crisi. Non so se si può fare la storia con i “ma” e i “se”. Quindi non me la sentirei di affermare che anche senza il ‘68 forse l’evoluzione dei fatti avrebbe potuto essere la stessa. Comunque, il risultato più grande rimane l’aver introdotto e diffuso una cultura critica».
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 13 gennaio 1998

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