Rom, l’ultimatum scade il 1° marzo

In principio c’è una famiglia che vive sottoterra. È il 2006. Un uomo, una donna e due bambini rom rumeni abitano in un tunnel fognario alto un metro e mezzo e largo due, sotto la superstrada, nei pressi della stazione nuova di Cosenza. Da lontano qualcuno li scambia per grossi topi. Poi si scopre che sono persone. Gli animalisti ci rimangono male. Ma è Pasqua e la gente si commuove. Le telecamere accorrono. Per un po’ di tempo sembrano svanire i pregiudizi che da secoli circondano gli zingari e che negli ultimi decenni, dopo l’affiliazione di alcune famiglie rom alla ‘ndrangheta, hanno lasciato il posto ad un’ondata di terrore diffuso. La città dimentica che la più grossa e vecchia baraccopoli, formatasi nel secondo dopoguerra, è stata smantellata da pochissimi anni. Paura e superstizione lasciano il posto alla pietà.
Nel giro di qualche mese, però, cambia la cartina geografica. Crollano i confini orientali dell’Unione Europea. Nel 2007, numerose famiglie rom provenienti dai distretti transilvani di Bistriţa e Cluj giungono in Calabria. Rispettando un’antica consuetudine, scelgono il fiume per costruire baracche in legno e lamiera. Stavolta i nomadi sono in tanti. E tra gli indigeni italiani, la pietà torna a mutarsi in timore. Si mobilitano sindaci, carabinieri e impresari della miseria. Con la scusa del rischio di esondazione del fiume Crati, un giorno all’alba le ruspe azzerano il villaggio. Circa venti baracche sono riposizionate quasi subito a poche decine di metri dall’argine. Oltre settanta rom vengono invece inscatolati dentro tende militari montate nei capannoni dell’associazione missionaria Stella Cometa, nel cuore della città. Il Comune mette a disposizione quattro bagni chimici. Nient’altro. La Stella Cometa è al collasso. Tutto il peso umano e organizzativo è infatti caricato sulle sue spalle. L’amministrazione provinciale prova a collocare poche altre famiglie rom in case sfitte nei centri vicini. Tra gli abitanti di questi paesi, solo in pochi accolgono gli zingari. I rom tentano pure di ignorare l’ostilità diffusa tra le popolazioni che dovrebbero ospitarli. Ma i costi degli affitti sono insostenibili. Dopo poche settimane, lasciano gli appartamenti e ritornano a vivere lungo il fiume, presto raggiunti da quanti avevano trovato posto nelle tende militari allestite nella Stella Cometa. In breve tempo si riforma la baraccopoli in riva al Crati.
Per almeno due anni, le autorità fanno finta di non sapere e non vedere. Di giorno nel villaggio continuano a camminare pochi volontari delle associazioni cattoliche. Sono gravi il degrado sociale e le condizioni igieniche in cui vivono anche tanti bambini ed anziani malati. Di notte i rom ricevono la visita di macchinoni guidati da italiani a caccia di perverse esperienze sessuali a pagamento. I finestrini si aprono: “Compa’, cinn’è carne frisca?”
Intanto il Comune attiva un surreale servizio scuolabus. Sono pochissimi infatti i bambini del villaggio che frequentano le vicine scuole di via Popilia, nonostante la determinazione e il coraggio di insegnanti e presidi che sfidano la protesta dei genitori degli alunni italiani: “gli zingari puzzano e sono infetti. Non voglio che mio figlio stia in classe con loro”.
Dall’inizio del 2009 le associazioni antirazziste cosentine che si riconoscono nel F.O.R.A., la “Federazione Orizzontale Ribelle Autonoma”, insieme ai rom del villaggio, danno vita alla Scuola del Vento, un’esperienza di accoglienza e formazione dal basso. Sotto forma di doposcuola, dalle 5 del pomeriggio in poi, nel campo rom si tengono corsi di artigianato, italiano, matematica e proiezioni di film. I capifamiglia, le donne e i bambini sono accompagnati fuori dal villaggio e partecipano a feste, assemblee ed iniziative culturali. Le associazioni prendono anche i primi contatti con le scuole e le strutture sanitarie locali per incrementare il numero dei bambini che frequentano le lezioni e garantire ai più anziani un minimo di assistenza medica. Nella sede della circoscrizione di via Popilia si sperimenta un dialogo con gli abitanti del quartiere. Nell’ottobre del 2009 scatta un nuovo blitz di polizia. Il procuratore Airoma, autore di saggi sulle questioni di identità sollevate nella società occidentale dal rapporto con i recenti flussi migratori, firma 90 fogli di espulsione ai danni dei rom, nonostante siano cittadini comunitari. Il F.O.R.A. crea un collegio difensivo che prepara i ricorsi. I rom manifestano più volte sotto il comune e nelle piazze principali. Prendono la parola nell’università della Calabria, in televisione, dovunque. Il tribunale di Cosenza accoglie i ricorsi e annulla i fogli di via. È festa. Ma subito dopo le vacanze natalizie, il vento di Rosarno scuote i palazzoni della città dei Bretti. In prefettura si tengono vertici segreti con il sindaco e i vertici dell’amministrazione provinciale. La procura ordina lo sgombero forzato del campo rom entro il primo marzo. La notizia si diffonde. Il portavoce della comunità rom e le associazioni chiedono più volte al sindaco di essere ricevuti. Ma Perugini (PD) e i suoi assessori si rifiutano di incontrarli. Esplode di nuovo la protesta. I rom chiedono la sospensione dell’ordinanza e la realizzazione di un campo attrezzato. Lunedì 1 febbraio, alunni del liceo Europeo si recano in visita al campo rom. Per il pomeriggio il Comune e l’Opera Nomadi hanno organizzato un convegno storico sull’Olocausto degli zingari, il Porrajmos, senza fare alcun cenno all’imminente sgombero. Agli occhi dei rom e del F.O.R.A, l’iniziativa è un provocazione: “È come se un poveraccio si rompa una gamba scivolando sotto la doccia, ma al Pronto Soccorso, l’ortopedico, invece di ingessargli la gamba, pretende di portarlo dolorante al cinema a vedere “Psyco”.
E così una manifestazione di rom ed associazioni antirazziste cosentine attraversa senza chiedere permesso il centro della città. Con uno striscione satirico che ritrae i vertici locali del PD in divisa da SS, irrompe nella Casa delle Culture dove sta per iniziare il convegno. Chiaro il messaggio: “No alla nuova deportazione”. Gli assessori comunali presenti al tavolo, inizialmente fanno “melina”. Poi concordano con i manifestanti un incontro col sindaco. In pochi giorni i rom sono ricevuti dal vescovo e dal primo cittadino. La Provincia fa sapere di essere disponibile a partecipare ad un tavolo istituzionale. Ma in realtà nessuno prende in mano la situazione. Intanto i dirigenti locali del PD e l’Opera Nomadi attaccano ferocemente a mezzo stampa sia l’esperienza della Scuola del Vento sia le realtà locali schierate contro la soluzione poliziesca. Venerdì 6, a favore della dignità dei rom, nella baracca-sede della Scuola del Vento si svolge una conferenza dei docenti universitari Piero Fantozzi e Fulvio Vassallo Paleologo, insieme all’avvocato Adriano D’amico. Alzano la voce anche i gruppi di base della chiesa cattolica, il mondo accademico, la Cgil. Ma in questura ormai è pronto il piano d’intervento militare. Il primo marzo scade l’ultimatum. L’intolleranza bussa alle porte della città che accolse Annibale da trionfatore.
Claudio Dionesalvi
CARTA settimanale, n° 6   febbraio – marzo 2010

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