La marcia dei no-global

In attesa dell’udienza preliminare, fissata per lunedì 24 maggio, la città si prepara ad una mobilitazione “Eretica ed Utopica” per domani mattina con concentramento a piazza Zumbini alle ore 9. A più di un anno dagli arresti dei diciotto “no global”, i giorni che seguirono la notte del 15 novembre 2002 tornano a essere un vivo ricordo di quello che è accaduto e di quello che Cosenza ha rappresentato, e nello stesso tempo stimolano riflessioni sulla libertà di pensiero e di azione politica dei movimenti. Sono tredici le persone che dovranno sostenere il processo, tra questi Claudio Dionesalvi, professore e giornalista cosentino che continua a vivere mantenendo forte l’impegno sociale e politico a cui si è dedicato sin dall’adolescenza.
Perché un corteo “Eretico ed Utopico”?
Perché nel 2004 io e altri dodici compagni siamo processati per reati che hanno a che fare col tempo in cui l’utopia era da perseguire e l’eresia poteva portarti al rogo.
Sono davvero così paragonabili i due tempi o esiste una differenza?
Noi siamo la dimostrazione di come il tempo non sia una linea sequenziale che si evolve ma, al contrario, come dicevano alcuni teorici, possiamo trovarci di fronte a improvvisi stravolgimenti nell’ordine del tempo, repentine retromarce. Non è un caso, infatti, che abbiamo deciso di scendere in piazza vestiti in maschera, non perché non prendiamo sul serio l’udienza di lunedì o tutto quello che potrebbe conseguirne, ma siamo consapevoli che queste tipologie di reato, la cospirazione, l’associazione e tutte le forme di repressione nei confronti del pensiero, nell’età contemporanea abbiano una radice politica, specialmente al sud. Il primo ad inventare il reato di cospirazione, e a trasformare le Corti Criminali in Corti Speciali, fu Gioacchino Murat che, il primo Agosto del 1809 emanò il decreto n. 447 con il quale dispose la persecuzione del brigantaggio, tentando di arginare il fenomeno della cospirazione, con particolare riferimento agli scritti ed ai pensieri sediziosi. Direi che è cambiato pochissimo; ieri erano i briganti, oggi si chiamano “no global”.
Come interpreti la riduzione a tredici del numero degli imputati da processare?
Sono d’accordo con il mio avvocato e amico Peppino Mazzotta, il quale sostiene che sia solo un fatto tecnico, una necessità di gestire al meglio posizioni che in teoria dovrebbero garantire al pubblico ministero la possibilità di transitare verso il rinvio a giudizio. È significativo il fatto che lo stesso provvedimento ci sia stato notificato più volte, a dimostrazione della grande energia che stanno impiegando gli inquirenti per cercare di portarci a tutti i costi davanti la Corte d’Assise; è un lavoro infinitamente superiore al tempo che investono per reprimere e perseguire i reati di mafia. Si dovrebbe poi articolare tutto un discorso su come sono state disposte le archiviazioni per gli altri compagni e sulla gravità delle parole scritte nell’ordinanza con la quale si dispone le suddette archiviazioni perché non è possibile che in Italia si mandino persone in un carcere speciale, in regime di 41bis, da un giorno all’altro, salvo dopo un anno e mezzo ammettere di aver sbagliato e ritrattare ciò che si è sostenuto con forza.
Alla luce di ciò che stai vivendo personalmente, pensi che debbano cambiare le modalità di lotta del movimento o pensi che abbia un senso continuare ad agire come è stato fatto finora?
Dalla scarcerazione in poi, i miei compagni ed io abbiamo ripreso a vivere esattamente come facevamo prima, senza fare un passo indietro, né uno in avanti. Alle persone che vogliono avvicinarsi ai movimenti posso consigliare di farlo con la massima determinazione, studiando molto, imparando a usare e dosare la parola, perché è la nostra unica arma vera che, a quanto pare, incute tanto timore e soggezione. Rispetto ai metodi di lotta, penso che il movimento debba scrollarsi di dosso questo dualismo “violenza – non violenza”; l’aggettivo “violento” non può essere accolto nel movimento, perché violento è colui che senza riguardo e senza misura, prontamente, si vale della forza fisica a danno altrui; noi al contrario ci siamo sempre difesi, abbiamo professato e messo in pratica il diritto alla resistenza, non la violenza. Violenti sono coloro che bombardano, coloro che hanno torturato i compagni nella scuola Diaz e a Bolzaneto, coloro che sono venuti a prenderci all’una di notte nelle nostre case, nei nostri letti. D’altro canto, sono perfettamente d’accordo con Luca Casarini quando afferma che dobbiamo respingere questo ipocrita, e privo di fondamento, concetto della “non violenza”, che è utile in questa fase di campagna elettorale per molti partiti della sinistra che ci sono stati a fianco negli ultimi anni e che adesso devono guadagnare una certa presentabilità, ostentando buon senso. Sappiamo benissimo che, nelle condizioni presenti, essere non-violenti significa subire, rinunciare a parte della nostra identità. Quando, il prossimo 4 Giugno, Bush verrà a Roma, non credo che avrebbe efficacia una manifestazione con i fiori in mano, mentre in Iraq le persone vengono mandate al macello, bombardate, torturate. Non si tratta di rilanciare il vecchio mito dell’assalto al Palazzo d’Inverno. La conquista del potere non ci interessa. Quello che ci preme è aprire degli spazi, nella società, che piano piano entrino in rete fra di loro e progressivamente arrivino a esautorare il potere stesso.
Rosellina Aiello
Edizione della Sera, 21-22 maggio 2004

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