La rivolta senza ribelli

La richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Riccardo Misasi, avanzata alla Camera dalla Procura di Reggio, sembra smentire ogni forma di scetticismo nei confronti della cosiddetta “rivoluzione dei giudici”. Nell’immaginario collettivo regna un rinnovato entusiasmo, accompagnato dall’ansia di apprendere i nomi dei grandi indiziati. Gli ultimi cinquanta anni della nostra storia (e non di Di Pietro) ci hanno insegnato che il potere nelle mani dei “signorotti” presenta una duplice facciata. Quando il settimanale “Avvenimenti”, l’anno scorso, definiva i personaggi politici meridionali veri e propri “feudatari”, aveva trovato la formula migliore, perché alla funzione pubblica, mai realmente esercitata, essi hanno unito un vasto intreccio di legami con gruppi di criminali organizzati esistenti sul territorio. Questa intesa non deve essere considerata un banale incidente di percorso, bensì l’unico vero modello di comunicazione tra le sfere alte dello Stato e la società.
L’elettorato calabrese (per esempio) subisce costrizioni dalla nascita dello stato unitario; se il controllo delle “grandi famiglie” sulla gente è meno manifesto nei centri urbani, nei comuni più piccoli e in quelli dell’entroterra il voto non è mai stato né libero, né segreto, né personale (a proposito: cosa ci facevano i fac-simile delle schede elettorali di alcuni noti leaders nei covi della Locride, prima del voto del 5 aprile ’93?). L’incredibile fiducia che l’opinione pubblica ripone oggi nei giudici, non si spiega se non nell’ambito di un profondo processo di rimozione della storia dalla memoria di tutti; questa magistratura è la stessa che non ha condannato uno solo degli autori delle stragi: perché dovremmo oggi attenderci da essa l’annientamento del potere occulto (che è poi quello reale) dei “don Rodrigo” del nostro tempo? Non sarà certo la telenovela a puntate alla quale stiamo assistendo, a smantellare gli imperi e i latifondi che sono stati costruiti illecitamente, né servirebbero carceri e pene di morte, che non hanno mai risolto, ma solo rinviato, i problemi (vedi la legge Jervolino). Di comitati di affari come quello che agiva a Reggio, saranno probabilmente pieni tutti i livelli della pubblica amministrazione e in questo la coscienza popolare ha abbondantemente anticipato le inchieste dei giudici.
La virtualità di questa “rivoluzione” scaturisce dalla mancanza delle masse sulla scena, troppo impegnate a sfregarsi le mani davanti ai teleschermi; il rischio è che l’ondata giustizialista porti ad una legittimazione dell’ordine attuale, epurando solo apparentemente lo Stato da uomini che avranno i mezzi per tornare alla ribalta. Qualche mese fa, al termine di un discorso dell’on. Sandro Principe nella piazza di Castiglione (CS), Francesco Di Giacomo (leader del gruppo rock “Banco”) ha detto «La gente dovrebbe ascoltare e riconoscere chi parla, prima di applaudire!».
Claudio Dionesalvi
Tribuna Sud Italia, n° 8   1993

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *