WuMing 1 recensisce Mammagialla

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Ho incontrato Claudio Dionesalvi una sola volta, nel ’92 a Brucoli (provincia di Siracusa), durante uno di quegli ininfluenti e perlopiù demenziali campeggi anti-NATO, ultima propaggine del movimento anti-F16 di nove anni prima, pratica stiracchiata per tutti gli anni Ottanta e oltre dall’allora “movimento antagonista”. Può darsi che un giorno qualche storico li rivaluterà, li definirà “seminali”. Boh. All’epoca mi parevano uno spreco di tempo. Sovente quelle contestazioni si organizzavano in posti la cui economia dipendeva in toto dalla presenza della base americana, ragion per cui le reazioni erano di freddezza quando non di aperta ostilità, con accoglienze degne di quella riservata a Carlo Pisacane (nel ’91 a La Maddalena finì in baruffa con gli abitanti del luogo, con tanto di pistolettate; a Sigonella, nel ’92, la cittadinanza salutava il corteo col saluto romano). In quelle occasioni il linguaggio già “legnoso” dei compagni subiva ulteriori regressioni, virava al populismo più bieco. Nel 1989 a Isola Capo Rizzuto un noto leader dell’autonomia romana cercò di aizzare la folla contro gli americani “che vengono qui, ci rubano il lavoro, si prendono le nostre donne, spacciano la cocaina!”. Nel 1990, sempre a Isola Capo Rizzuto, un mio caro amico fu scambiato per qualcun altro e accusato di lesioni aggravate a un carabiniere, una roba che si è trascinata per anni prima della completa assoluzione. Ricordo un manifesto dedicato al caso: “La NATO si vendica su [nome e cognome del mio amico]”. Insomma, un festival del velleitarismo e della marginalità. Dedicato a chi rimpiange “quando c’erano i veri antagonisti” (e non si tratta nemmeno di poca gente, a giudicare dalle recenti scelte autoghettizzanti di alcune realtà del movimento). Dubito molto della natura “seminale” di quegli assembramenti: mi sembra che l’odierno movimento anti-guerra sia in fortissima discontinuità con quel tipo di approccio. Sono uscito dal seminato: dicevo che in quel di Brucoli incontrai Dionesalvi, che mi vendette la fanzine del CSOA “Gramna” di Cosenza (non è un mio refuso, si chiama davvero così). Non l’ho più visto, ma ne ho sentito parlare molto spesso: insegnante, animatore culturale, pubblicista (scrive su Carta, sul Manifesto e da qualche altra parte) e ultrà del Cosenza. In quest’ultima veste, qualche anno fa, venne massacrato di botte dalla polizia, riportando diverse fratture. Dalla seconda metà degli anni Novanta c’è molta curiosità su quel che succede a Cosenza, “città-laboratorio” con un tessuto sociale ricco e fertile, luogo di esperimenti sui rapporti tra amministrazione, università e movimenti etc. Quando se ne parla, è impossibile non menzionare Claudio Dionesalvi. Qualche anno fa ci contattò per presentare Asce di guerra a Cosenza, ma era un periodaccio e non riuscimmo a organizzare. Nel novembre 2002 mi trovo in Brasile quando arriva la notizia del blitz dei ROS contro esponenti del movimento in diverse città del Sud. Venti arrestati a Cosenza, Taranto e Napoli. Tra questi c’è anche Dionesalvi. L’imputazione è “cospirazione contro l’ordinamento economico dello Stato e associazione sovversiva”, con riferimento ai fatti di Genova e non solo, e sarebbe giustificata da un brogliaccio di quasi mille pagine presentato alla procura di Cosenza dal generale e capo dei ROS Giampaolo Ganzer (ricordatevi questo nome ché poi torna). Il brogliaccio contiene trascrizioni di telefonate con interpretazioni capziose che dicono molto di più sulla mentalità dei carabinieri che su quella degli indagati. L’azione viene immediatamente interpretata come una ritorsione per il successo del Forum Sociale Europeo di Firenze, conclusosi da pochissimo. Proprio grazie all’effetto-FSE, di quegli arresti si parla in tutto il mondo, anche i giornalisti brasiliani mi fanno domande al riguardo. L’indignazione sale, si apre una contraddizione nelle istituzioni, a Cosenza si tiene una manifestazione gigantesca, centomila persone, “Sole e Popolo” (per citare un SMS del mio amico Tano). I venti vengono scarcerati. Qualche mese dopo, vengo a sapere che Claudio, svegliato dagli sbirri nel cuore della notte e portato via in tutta fretta, ha afferrato al volo la sua copia di Q e una raccolta dei frammenti di Eraclito, per avere qualcosa da leggere in galera. “Parcheggiato” temporaneamente al carcere speciale di Trani, si è visto sequestrare Q “perché incompatibile con l’art. 41bis” (!). Gliel’hanno poi restituito dopo la traduzione al carcere di Viterbo, il Mammagialla, che dà il titolo al suo libro. E che libro! Dal fugace accenno alle scuregge emesse dagli sbirri alla cronaca dei giorni trascorsi in galera in preda al mal di denti (il libro si apre proprio con Claudio sotto i ferri del dentista), dalla storia della “cimice” trovata in macchina fino alle mobilitazioni di novembre passando per la mattanza di Genova, non c’è nessuna soluzione di continuità, è una cavalcata a dorso di Trottalemme in un paesaggio da cui spuntano dita e matite, serpenti che in realtà sono salami, didascalie che camminano, api senza zampe, vermi con la bombetta in testa. La repressione vista da Jacovitti. Diverte, entusiasma, fa incazzare. Finora, l’unica opera di narrativa italiana che abbia saputo restituire ai lettori l’atmosfera del ciclo di lotte 2000-2002. Concludo facendo notare che nel frattempo il generale Ganzer è finito sotto inchiesta, insieme ad altri ventisette ufficiali e sottufficiali dell’Arma, per associazione a delinquere armata (finalizzata al traffico di stupefacenti), abuso d’ufficio e peculato. Hodie mihi, cras tibi.
Wu Ming 1
Nandropausa, 3 dicembre 2003

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