Diario di un “no global” nelle mani dello Stato

Un acre “pamphlet”, un diario di una settimana “un po’ speciale”, un racconto breve: tutte queste e tante altre cose ancora è «Mammagialla. Diario di una carcerazione» scritto da Claudio Dionesalvi («Prefazione» di Giuseppe Mazzotta, «Postfazione» di Franco Dionesalvi, Rubbettino, pp. 100, € 6,50). Sfuggevole, dicevamo, la catalogazione da dare al libro, quasi quanto quella del suo poliedrico autore: trentaduenne cosentino, insegnante di Lettere nelle scuole medie, pubblicista, “video-maker”, tifoso “ultrà” della squadra di calcio del Cosenza e… “no global”. È proprio in quest’ultima veste che è assurto, suo malgrado, agli onori della cronaca nazionale, perché fu tra gli arrestati di una delle più discusse operazione di polizia degli ultimi anni, denominata appunto «No global», e che ha portato in galera, nel novembre 2002, venti attivisti del movimento antagonista, la maggior parte dei quali cosentini, per ordine del pubblico ministero Domenico Fiordalisi che li accusava di reati quali la cospirazione contro l’ordinamento economico dello stato e la sovversione. Diario di un giornalista “cospiratore” «A me cospiratore? È un titolo di riconoscimento elevatissimo… Mia nonna me lo aveva detto che sarei arrivato lontano», scrive Dionesalvi nelle prime pagine del suo agile libro, appena «le truppe dell’Inquisizione» fanno irruzione nel suo appartamento per arrestarlo. È proprio questo sarcasmo acre, pungente, che permea tutte le novantacinque pagine di «Mammagialla», scritte talvolta a muso duro, sempre con uno stile tagliente, agile, senza fronzoli. Pagine che fanno trasparire la passione e la predisposizione dell’autore per il giornalismo (è tra l’altro direttore del quindicinale «Tam Tam» e collabora con il «Quotidiano della Calabria»). Inoltre, «Mammagialla» – il cui titolo non è frutto della fertile fantasia dell’autore, bensì il soprannome del carcere di Viterbo – non è uno di quegli “instant-book” tanto di moda, libri da leggere entro breve tempo altrimenti… è come se avessero una data di scadenza. E non è neppure un saggio, non vuole assolvere solamente ad una funzione “difensiva”, funzionale alla discolpa dalle pesanti accuse mosse nei confronti dell’autore; bensì quest’ultimo parte da quella terribile esperienza di carcerazione, in un carcere speciale tra l’altro, per mostrare, denunciare, la terribile realtà di quel mondo, di quel buco nero che si cela all’interno delle nostre città. «Voi siete stati troppo poco qui dentro. Non avete visto niente. Però secondo me avete capito quasi tutto»: queste le parole che il detenuto vicino di cella, soprannominato «Marione», rivolge all’autore e a un altro degli indagati al momento della loro scarcerazione. Ma il discorso si allarga: «Ero già stato in carcere […] avevo vissuto brevi esperienze nelle Istituzioni Totali» scrive Dionesalvi, che fa riferimento qui a qualunque luogo, sia esso un reparto di ospedale, una clinica psichiatrica o una scuola, dove l’individualità di ognuno è repressa e vi è un tentativo di alienazione. E continua: «Ero già stato in carcere. Ma una galera vera non l’avevo mai vista». La galera: urla, puzza di gas e un importuno dente del giudizio E così – e qui rubiamo una frase a Wu Ming 1, uno degli autori del collettivo di scrittori “cult” dell’odierna narrativa italiana che ha recensito «Mammagialla» in modo entusiasta sul suo sito internet – il libro è «una cavalcata a dorso di Trottalemme», senza soluzione di continuità: si accenna alle passate indagini sull’autore, con la «micro spia!» ritrovata nella sua macchina, circostanza che egli, una volta scoperta, ha spiattellato in una affollata e ironica conferenza stampa che qualcuno probabilmente non gli ha mai perdonato, e si passa con ritmo incalzante dal G8 di Genova alle giornate passate in carcere, a Trani e poi a Viterbo, tra urla di compagni nella notte, puzza dei gas col quale i detenuti si sballano e un dente del giudizio che tormenta l’autore (il libro si apre infatti con quest’ultimo sotto i ferri del suo dentista di fiducia). Tra i teneri telegrammi che gli alunni gli inviano, discussioni durante l’ora d’aria con un estremista islamico, segni tangibili di solidarietà da parte dei detenuti vicini di cella, la settimana in carcere non scorre certamente apatica per l’autore, al quale bastano un fazzoletto di carta e una penna per affidare i pensieri del momento. L’autore è un attento osservatore di tutto ciò che lo circonda e sa tratteggiare (“pittare” direbbe lui in cosentino) in poche righe, esaurienti quanto pungenti, i caratteri delle persone: ecco il ligio agente penitenziario “sindacalista”, che lo traduce da Trani a Viterbo, «capelli gellati e… faccino da bravo figlio di famiglia sacrificatosi per fare contenta mammà», oppure Beniamino «giovane distinto, occhialino da intellettuale, fisico asciutto sbarbato, tratti limpidi e sguardo furbo, ma gentile» che addirittura… gli chiederà un autografo per il cuginetto, tanto è stato lo scalpore dell’operazione «No Global» sull’opinione pubblica nazionale. La lotta tra Dormicchia e il dottor Daros Finalmente, la carcerazione preventiva (della quale, nella «Prefazione», l’avvocato Giuseppe Mazzotta denuncia tutti i limiti e contraddizioni, definendo il carcere «strumento di tortura») finisce con l’arrivo in una Cosenza che, nonostante l’ora tarda, non vuole saperne di rinunciare a una festa improvvisata, con tanto di cori e striscioni davanti all’abitazione dell’autore, il quale per fortuna, dopo tanto penare, vedrà anche guarire quella «zanna del giudizio» che sicuramente non ha scelto la settimana più indicata per manifestarsi in tutto il suo insopportabile dolore! La «Postfazione», curata da Franco Dionesalvi, fratello dell’autore, uno dei principali animatori culturali di Cosenza nonché già assessore alla Cultura del Comune durante le Giunte guidate da Giacomo Mancini, è una disamina, impietosa, attenta e disarmante sul mondo globalizzato: «Viviamo inscatolati in giganteschi cimiteri, ognuno col suo loculo […] in cui la lampada perenne è la televisione». E ancora: «Conta solo quello che produciamo, consumiamo; al di fuori siamo esubero, non contiamo nulla». Tra i tanti aneddoti veniamo ad apprendere anche una simpatica curiosità: a sei anni il piccolo Claudio si divertiva ad impersonare, in una sorta di teatro domestico, due ben distinti personaggi, il dottor Daros, lo scienziato malvagio e collerico che tesse alchimie per conquistare il mondo, e Dormicchia, «il bambino candido e indifeso, che soffriva a sapere di tanti bambini che morivano di fame». Ebbene, dopo botte da orbi, a prevalere era proprio il bambino buono: «Nessuna gabbia mai potrà tenere prigioniero Dormicchia».
Mirko Altimari
scriptamanent.net    dicembre 2003

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