La scuola del futuro prossimo presente

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Ogni volta che li incontro, mi emoziono. Non ancora adolescenti, non più bambini, i ragazzini di prima media sono una meraviglia. Nei primi giorni di scuola, ti scrutano, t’osservano, ti studiano. Sono impauriti, curiosi, a tratti elettrizzati, cercano sicurezza in ogni tuo movimento.
Quasi quasi m’imbarazza parlare di scuola nel senso letterale del termine, mentre migliaia di colleghe e colleghi sono sradicati dalle loro famiglie, sballottati tra un ufficio e l’altro, spintonati dalla celere, costretti a sgomitare coi propri compagni di disgrazia per accaparrarsi una nomina, una sede, un’assegnazione. Quasi mi vergogno a scrivere due righe sull’inizio dell’anno scolastico, mentre tantissime famiglie incatenate alla soglia di povertà, nell’era del digitale, sono costrette a confrontarsi col dramma di sostenere gli esorbitanti prezzi dei libri di testo cartacei.
La scuola non è né buona né cattiva. Queste categorie esistono solo nel gergo dei politici e di qualche bambinologo scemo. Ci sono scuole che accompagnano le persone dall’infanzia alle porte dell’età matura aiutandole a diventare cittadini e a costruirsi una prospettiva di vita basata sulla ricerca della felicità. Non la presunta felicità legata al denaro e al produci-consuma-crepa, bensì quella degli affetti e delle relazioni umane. E purtroppo ci sono anche scuole-carceri. Forse la maggior parte di quelle esistenti sulla penisola! Preparano i soggetti a una vita detenuta, fatta di sacrifici, sottomissione, odio sociale e solitudine.
La scuola in cui insegno da oltre 15 anni, a Lauropoli, punta all’inclusione, alla cittadinanza in modo intelligente, e cerca di accompagnare la crescita dei ragazzi e delle ragazze in un clima di grande serenità. Soprattutto, prova a insegnare i contenuti in modo innovativo, senza cancellare gli strumenti validi che pure esistono nei metodi didattici tradizionali. Al suo interno non mancano i limiti e le fisiologiche difficoltà, ma l’importante è farne tesoro per migliorarsi.
Poco tempo fa, per vedere da vicino e toccare con mano alcune delle esperienze didattiche più innovative d’Italia, ho trascorso una mattinata a Classe, una frazione di Ravenna, in una scuola primaria che aderisce al “Senza zaino”. È una definizione troppo stretta per esprimere l’intensità dell’esperimento. Impossibile raccontarlo in poche battute. Ciò che mi ha colpito, comunque, è l’organizzazione dello spazio all’interno dell’aula, la cura nei minimi dettagli dei luoghi in cui i bambini e le bambine studiano e si muovono. Abolita la cattedra, eliminato l’antiquato rapporto frontale tra alunni e docenti, tutto il materiale didattico è a disposizione di tutti, i banchi organizzati in isole, in un’area specifica dell’aula attrezzata con divanetti e tappetini la maestra dedica la prima ora di ogni mattinata esclusivamente all’ascolto dei suoi alunni, i tavoli operativi sono disposti ai lati della stanza, i piedi delle sedie ricoperti con palline da tennis riciclate che attutiscono i rumori fastidiosi, su un armadio staziona la vasca col pesciolino rosso la cui cura è affidata a turno agli alunni. A farmi da guida, una collega. Non sempre parlo bene dei miei colleghi. Ma questa si chiama Rita Gentili e viene da un altro pianeta. Dolce, appassionata del proprio lavoro, austera, preparatissima, autorevole, e soprattutto intelligente, molto intelligente.
Inutile nasconderlo. Sono tornato a casa carico d’invidia. In Calabria non mancano esempi di scuole e insegnanti validissimi e didatticamente sovversivi, animati da quella volontà di sovversione che alla fine costruisce autonomia, consapevolezza, altra società. Però forse sono pochi. In troppe delle nostre scuole ancora oggi, nel 2016, dominano particolarismi, burocrazia, arretratezza culturale, gelosie.
Ma ve l’immaginate se quaggiù noialtri, gli insegnanti, gli adulti, i genitori, ci mettessimo in discussione e ripensassimo il nostro rapporto con gli alunni, e se li educassimo al senso di responsabilità e al rispetto dell’ambiente, alla gestione condivisa degli spazi e alla comunione degli strumenti, invece che all’osservanza di formalismi ipocriti. Nel giro di una quindicina d’anni, il tempo di veder divenire adulta una generazione, forse vedremmo finalmente funzionare gli uffici, gli ospedali, gli enti pubblici e i servizi. Non sarebbe l’Utopia, ma di certo un fatto inedito in Calabria. Un simile cambiamento soltanto da una scuola capovolta dalle sue fondamenta potrebbe scaturire.
Claudio Dionesalvi
precedenti articoli sulla scuola:
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