
Tendiamo a ricordare i nomi capaci di suscitare clamore artistico, politico, mediatico. Esistono umane storie che finirebbero nell’oblio, se a ricordarle non fossero le persone care.
Caterina Nucera aveva il volto della terra che la generò: gli occhi spaziosi e penetranti, un sorriso mai artificioso sulle labbra. Rossa nell’animo e nell’ariosa capigliatura, l’austerità e la sua compostezza si scioglievano in lampi improvvisi di affetto tangibile e allegria sincera. La magnogreca ospitalità la rendeva un’amorevole e gaia matriarca. Di poche parole, era dotata di fine intelletto, di quella saggezza mai ostentata, che a tratti scioglieva in rapide battute di delicata ironia.
Prima della restanza, c’è stata la rientranza. Caterina emigrò al nord per lavorare, insieme al compagno di una vita, Mimmo. Con lui poi decisero di rientrare in Calabria, prima che il secolo martoriato si chiudesse. A Gallico, vicino Reggio, fra i vicoletti percorsi dalla brezza marina, aprirono una cooperativa tessile. Tra le macchine per cucire accoglieva e formava giovani lavoratrici che in nessun’altra impresa avrebbero trovato tanto rispetto per la loro opera, grazie a regolari contratti, diritti riconosciuti, rispetto per la persona e il lavoro che svolge. Non a caso, a Gallico tutti la amavano e la ricordano ancora commossi. Caterina e Mimmo seppero rialzarsi, ricostruirono la sartoria con l’aiuto di tutto il paese, dopo un distruttivo e accidentale incendio. Oltre all’esemplare cammino di vita compiuto, hanno seminato esistenze degne della loro magnifica essenza: tre figli dai nomi evocativi. Melissa come il luogo in cui nel 1949 la polizia sparò e uccise i contadini che occupavano i latifondi. Emiliano come Zapata. Giulia come la valle in cui nel ’68 gli studenti resistettero alle cariche del reparto celere.
Caterina ha ultimato i suoi giorni, troppo presto, 10 anni fa. Vive nei sogni ribelli delle lotte sociali, nella voglia irrefrenabile di costruire in concreto l’utopia di un mutamento radicale, nella semplicità di chi ogni mattina deve andare a lavorare per garantire i mezzi di sussistenza ai propri cari. Se ha solide radici la dignità che anima le donne e gli uomini che hanno scelto di vivere e costruire una Calabria non sottomessa, lo dobbiamo pure a compagne come Caterina. Persiste l’indelebile traccia della sua fulgida dolcezza nell’amore di chi ha avuto il privilegio di conoscerla.
Claudio Dionesalvi
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