Che città strana, Rende! Borgo di quarantamila anime adagiato ad oriente del fiume Crati, non ha quasi mai vissuto di luce propria, bensì riflessa. Il rapporto di attrazione e repulsione con la limitanea Cosenza, trova la metafora migliore nel lungo viale che avrebbe dovuto unirle. Dedicato ai rispettivi patriarchi politici del novecento, i socialisti Cecchino Principe e Giacomo Mancini, il boulevard s’interrompe proprio all’altezza del confine amministrativo tra i due Comuni. In mezzo scorre un fiumiciattolo. Ma, quasi a voler segnare il distacco, nessuno ha mai pensato di costruirci sopra un ponte che colleghi i due tronconi del viale. Considerata da molti un’appendice periferica del capoluogo Cosenza, Rende rimane comunque legata a filo doppio alla città bruzia. Nel bene e nel male. Non soltanto per l’università di Arcavacata, con i suoi cubi color rosso mattone e con il più grande campus universitario in Italia, ma anche per gli scandali e le infiltrazioni mafia-politica susseguitisi in questi anni. Che hanno portato alle dimissioni del sindaco e all’insediamento della commissione di accesso. Le cosche di Cosenza avrebbero egemonizzato il comune rendese – a detta della procura antimafia – accasandosi all’interno della struttura comunale, gestendo settori importanti, dal servizio mensa alla concessione del bar. Secondo gli inquirenti, gli appalti sarebbero stati affidati ad imprese che vedono apparire come soci e lavoratori i familiari ed i sodali dei locali gruppi criminali prevalenti. Due politici, l’ex sindaco Umberto Bernaudo e il consigliere provinciale Pietro Ruffolo, entrambi del Pd, avrebbero fornito agevolazioni per la costituzione di una società in house. Che avrebbe rappresentato null’altro che un serbatoio di occupazione (e di voti) per picciotti e mammasantissima. Al momento sono solo ipotesi che dovranno essere verificate dalla magistratura. Però le ombre su Rende permangono anche dopo il recente decreto con cui il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha stabilito che il Comune non sarà sciolto.
“Metro leggera”, danni pesanti
Che città strana, Rende. Legata a filo doppio a Cosenza da un progetto di metropolitana da molti ritenuta inutile, a rischio, e sovradimensionata. Decine di milioni serviranno solo per aprire il cantiere della cosiddetta “Metropolitana leggera Cosenza-Rende”. Una barca di soldi che, con ogni probabilità, affonderà nella palude degli sprechi e delle disfunzioni, in una regione travolta da un disastro delle infrastrutture sotto gli occhi di tutti. “Il degrado delle ferrovie è opprimente -sottolinea Mimmo Gattuso, docente di Trasporti all’università Mediterranea di Reggio- eppure sembra passare inosservato almeno per le istituzioni. Basta prendere un treno lungo la linea jonica per rendersene conto. Le stazioni, un tempo luoghi di vita sociale, oggi sono degradate, assediate da erbacce, murate, o ingabbiate da orribili griglie, senza obliteratrici, biglietterie, servizi igienici e fontanelle. Uno scempio che dissuade sempre più i cittadini dall’uso del treno, per non dire dei turisti o viaggiatori occasionali”. Una politica dei trasporti mortificante, che persevera e umilia tutto un popolo. “In due anni sono stati soppressi una ventina di treni a lunga percorrenza in nome di un falso efficientismo, sono stati chiusi 41 km di linea della piana di Gioia Tauro, permane ormai da un lustro una frana che ha tagliato le relazioni ferroviarie montane tra Catanzaro e Cosenza, ci sono voluti ben 16 mesi per ripristinare un ponte ferroviario a Marcellinara che univa la costa tirrenica e quella jonica, è stato tolto il servizio ferroviario tra Calabria e Puglia, sostituendo i treni con autobus. E nel campo della logistica sono stati cancellati gli scali merci di Cosenza, Lamezia e Villa San Giovanni”. Basterebbe poco a politica e dirigenza ferroviaria per cambiare registro. Una serie di “piccole” opere per abbandonare una situazione da terzo mondo, un “trasporto equo sostenibile”, per usare le parole di Gattuso. E invece tutto è fermo, tranne i soliti progetti di cattedrali nel deserto. Come la metro leggera Cosenza-Rende. “È in realtà una tranvia – precisa Gattuso – ma assolutamente sovradimensionata, con tempi di costruzione che lieviteranno sicuramente rispetto alle previsioni. Il progetto stride con la domanda di mobilità dell’area (38 mila utenti nel 2014, 48 mila nel 2020, 2500 passeggeri nell’ora di punta). Infatti una linea di tram efficace si giustifica con flussi maggiori (100/200 mila passeggeri e 10 mila utenti nell’ora di punta). La debole domanda di mobilità stimata si ripercuote nello scarso numero di veicoli in cantiere, una decina, e nella frequenza (una corsa ogni 20 minuti)”. Gli fa eco Mario Bozzo, uno dei promotori del comitato: “Il progetto si basa su dati inattendibili. Persino la cifra di 40mila viaggiatori è irrealistica. La metro sarebbe periferica rispetto alla maggioranza della popolazione”. Indignatissimo anche Pino Iacino, già sindaco della città negli anni settanta: “La metro è un intervento che porta più danni che benefici. Inoltre, è un chiaro caso di devastazione urbanistica. Gli amministratori – spiega Iacino – avrebbero l’obbligo di consultare un comitato scientifico di alto livello, invece di basarsi su dati fantasmagorici. Il progetto non può essere il risultato di un confronto tra singoli, ma bisogna coinvolgere la totalità dei cittadini. È fuori dalla realtà la stima di 40mila viaggiatori su una popolazione di 120mila. Noi facciamo una valutazione da 5mila. Costi di gestione incompatibili con gli introiti, deficit annuali che dovranno pagare i cittadini. Così si ipotecano anche i bilanci futuri degli enti locali”.
Insomma, un fallimento già prima di iniziare. L’ennesimo polpettone di ferro e cemento che, dati i tempi di costruzione (7/8 anni), rischia di non esser nemmeno ultimato dato che i fondi previsti sono comunitari. Ma a rischio disimpegno qualora le opere programmate non risultino terminate entro il 2016.
La grande salsiccia
Cosenza si appresta a essere sventrata dalla più costosa, inutile e dannosa opera pubblica che sia mai stata realizzata nella sua storia, fortemente voluta dalle potenti famiglie politiche locali. È una salsiccia da 160 milioni che tanti vorrebbero arrostire sulla propria griglia. Entro il prossimo dicembre, è previsto lo start up della Regione Calabria. Eppure, forti sono le opposizioni e i pareri contrari alla realizzazione della nuova infrastruttura. Contraria è una parte consistente della cittadinanza che sta trovando voce all’interno di un comitato spontaneo di recente formazione: “Devasterebbe viale Giacomo Mancini – spiegano gli attivisti Nometro – ormai divenuto arteria pulsante della città. I cosentini vivono su questa strada, facendoci jogging la sera, realizzandoci ogni anno la millenaria fiera di san Giuseppe, frequentando l’area liberata del parco sociale. Con la metro, diventerà invivibile, tagliata da binari, attraversata da rumorosi e invadenti vagoni”. In effetti la città tornerebbe indietro di vent’anni. Il popoloso quartiere di via Popilia e tutta la zona est, verrebbero di nuovo separati dal resto dell’area urbana. Chiare le proposte alternative del nascente comitato che sta per lanciare un flash mob per i prossimi giorni. Tutti insistono sulla necessità di rivalorizzare l’esistente. Visto che l’obiettivo è creare dei collegamenti migliori con l’università di Arcavacata, con la zona del Savuto e la Presila, sarebbe più giusto impiegare questi soldi pubblici per il ripristino della vecchia rete delle Ferrovie della Calabria. Cancellate dalle scellerate politiche dei trasporti attuate a partire dagli anni ottanta, le FC sono state smantellate per privilegiare gli interessi delle ditte private. Una volta tagliati uomini e mezzi, si è consentito l’accaparramento, spesso illecito, delle vecchie stazioni, trasformate in dimore private, quando non sono state rese inagibili dall’incuria. Calato l’oblio sulle antiche ferrovie, ne spunta già una nuova, di cui non c’è alcun bisogno.
“Ma quei 160 milioni per la metro leggera non li possiamo perdere”. È la parola d’ordine scandita dalla famiglia Gentile, plenipotenziaria del berlusconismo bruzio, e da Sandro Principe, Signore incontrastato della vicina Rende, rifluito nel Pd dopo l’eclissi socialista.
Fortemente contrario è invece il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto, che considera questo progetto “vetusto”, per nulla funzionale, in quanto concepito decenni fa, quando il territorio presentava ben altre caratteristiche e vocazioni. Occhiuto propenderebbe per una soluzione su gomma, con un differente tracciato, in ogni caso rispettoso dello sviluppo urbano che la città sta assumendo. Ma dovrà fare i conti con equilibri che potrebbero sballottare la sua stessa Giunta. Le decisioni sul futuro di Cosenza, si prendono tra Reggio Calabria e Rende.
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