
Pochi giorni fa, circondato dall’affetto dei suoi ex alunni e alunne, nonché da tante persone che credono nel valore costituente della scuola pubblica, il professore Angelo Avignone ha presentato il suo “Ex Cathedra”, libro-diario che raccoglie l’esperienza di tutta una vita dietro la cattedra.
Al professore e al libro, Giovanni Scarnati ha dedicato questo testo carico di vivacità intellettuale e sentimento. Giovanni tratteggia anche un mio breve ritratto del tempo in cui fui studente. Lo ringrazio tantissimo. E rivolgo la mia eterna gratitudine al prof. Avignone.
55 anni di età e più di 35 anni trascorsi da quel ragazzino di liceo: e’ tempo di bilanci? Un impiego modesto ma sicuro da scribacchino e passacarte nella scuola (Pasolini direbbe “burocratico-parassitario”), sposato e con un figlio.
Interrogarsi adesso per capire cosa ne hanno fatto della propria vita quei ragazzini (o potuto fare in base alle capacità, opportunità, rendite di famiglia).
Ci sarà qualcuno tra di loro che è morto a cui sarebbe doverosa una visita o ammalato gravemente a cui la stessa visita di tutti potrebbe ridare vigore e voglia di lottare? Non so.
Incontrando Giuseppina in Tribunale dove lei fa l’avvocata mi dice che un nostro caro compagno di classe ha il “cervello fuso” e vive ai margini di un bar di Piazza Zumbini vicino casa dei suoi. Questo ragazzo fuma e fumava già dai tempi del liceo ma fumava roba che erà già una schifezza allora. Non erano gli anni ’70 ma gli anni 80, anni del tutto sbagliati. E senza slancio. Anni di disimpegno e individualismo, di conformismo paninaro e di loghi sui vestiti. O vestivi come loro o non eri. Io non ero. In definitiva anni piccolo borghesi. In tanti stavano bene, padri e madri stipendiati e investivano nel debito pubblico e la frase tipica dei ragazzi era “ chi tinni frica, scialati!”. Tra i nostri compagni di classe L. era un leader in questo senso. Pragmatismo ed edonismo. L’unica dimensione sociale ammessa era la squadra di calcio. I nuclei sconvolti.
Poi l’incontro con Luisa in Corso Mazzini, mi dice con la sua amara ironia di sempre di essere docente precaria, una girovaga della provincia di Cosenza.
Stefano invece viene in sindacato con un bimbo di pochi giorni in braccio a fare la domanda di inserimento nelle graduatorie di docente di filosofia. Lui filosofia? Boh. Di lui ricordo che amava leggere Maupassant, come me d’altronde.
Rossella l’incontro all’uscita della stazione di Firenze Rifredi, va verso il dipartimento di matematica dell’Università di Firenze. Gioiosa come sempre. Io invece gli sembro un altro. Fa la ricercatrice ma la ritrovo a scuola docente di sostegno.
Quanti saranno usciti dalla scuola per rientrarvi in questo modo? In quanti la scuola ha prodotto scuola?
Nei momenti di sconforto il prof. Avignone diceva “Ma non l’avete capito che non serve a niente?”. lo diceva con una sincerità pari a pochi. Il Prof. Morrone invece ci parlava della Sinistra Storica come di una sinistra all’acqua di rose, la stessa che ha contribuito a creare lui con il suo voto al “SI” al Cinema Teatro Morelli nel congresso cittadino (erano i tempi della Bolognina). Che delusione! Ritrovarsi su fronti opposti, prof e studente, in quella sala gremita e fumosa, e lo studente nella posizione dei “conservatori”! Il mio 5%, fatto di vecchi, lasciava il teatro in lacrime dopo la votazione e un mio mito crollava. Il prof. maturo era un uomo di apparato non più il ragazzo scortato dai compagni a Bari negli anni di piombo. Lo reincontrai pacificamente nella sede della CGIL scuola da poco ribattezzata Federazione dei Lavoratori della Conoscenza, il nuovo nome aveva la pretesa di riunire in un unico sindacato tutti i lavoratori della filiera conoscenza dall’infanzia, all’università, alla ricerca, all’alta formazione artistica e musicale: “proletari” scolastici finalmente uniti insomma!
Restavano altri due miti: Capanna nei suoi scritti e Avignone a lezione e una voglia di andare via da Cosenza e dalla provincia.
Letture dei cattivi maestri. Firenze con la sua storia, Adriano Sofri che insegnava ancora all’Accademia e si poteva incontrare a Piazza S.Marco.
Claudio mi era sempre sembrato il classico figlio di papà (il padre era il Preside della scuola) annoiato e pieno di ribellismo scomposto. Lo ritrovai a Firenze nell’aula del primo anno di Giurisprudenza (lui che studiava Filosofia) nella chiesa sconsacrata di Sant’Apollonia gremita. Qui parlò molto più chiaramente che nelle assemblee dell’aula magna dello Scorza eloquio e pensiero si erano affinati e dichiarò il suo obbiettivo: l’assessorato alla casa di Lele Tiscar, il caro affitti per gli studenti, le iniziative dei collettivi studenteschi nelle varie facoltà. Iniziative concrete: occupazioni di stabili abbandonati e spesso di proprietà pubblica. Bargellini guidava il movimento di lotta per la casa. Capii che Claudio ci aveva creduto a 14 anni e continuava a crederci veramente. Una mente ben costruita, una proprietà di linguaggio impareggiabile e lo stesso entusiasmo dei 14 anni. Era l’unico che aveva una “dimensione sociale” nei mei anni allo Scorza.
Rosario, chi lo ha mai capito ? Conservo ancora una sua poesia che scrisse durante le lezioni della prof.ssa Siragusa, docente di arte: “ Mi sono svegliato in una pozzanghera di acqua e terra. Alzati o sole! Affichè possa librarmi in volo e dire: Aeroplanoooooo!” intervallandola a “ Scarnati : ruffianone! Hai pure i calzini rossi”. Mai sentito offeso per questo. Lo percepivo come un ragazzo di una straordinaria intelligenza ma nel contesto sbagliato. Orari e regole non erano per lui. Gli apparivano banali.
Gianni era l’unico ad avere capito l’Intifada e cosa stava succedendo in Palestina; frequentava il Cinema Italia, allora occupato. Ci andai una volta su suo invito, bella l’idea della biblioteca comune, un mondo di altri tempi e di altre generazioni di studenti, gran parte di loro adesso ci andavano per le ragazze. Tra esse spiccava per bellezza Francesca, coetanea e del nostro liceo, credo corso C, motorizzata con una cinquecento ma con un cattivissimo rapporto con l’acqua e il sapone.
Giovanni invece aveva già la sua Peugeot 206, era un uomo arrivato agli occhi di tante ragazzine.
Nel mio paese c’era il cinema e funzionava. Domenica al cinema di Paolino Pagliuso. Si faceva anche “classi a confronto” uno spettacolo realizzato dai ragazzi delle medie, una gara a quiz intervallata da musica e balletti realizzati dai ragazzi stessi.
Apriva in quegli anni a Spezzano Sila il “demon rouge” un locale ispirato ai pub irlandesi. Attirava tante persone anche da Cosenza. Non ce ne erano altri in tutta la provincia, che io sapessi. La prima videomusica: i Pink Floyd con “the Wall”. Ricordo ancora il passo dell’oca fatto dai martelli e gli studenti che finivano nel tritacarne (era un cartone animato) e la prima Guiness o Kilkenny, poi divenni abbonato solo a queste birre e rigorosamente alla spina. Con il bicchiere a forma di stivale pieno e a notte tarda ci sentivamo grandi e disquisivamo di psicoanalisi sociale freschi di letture freudiane. Il mondo era solo una nostra proiezione.
Del resto riuscivo a leggere qualcosa grazie a Piercacciuolo che nella sua libreria di Corso Luigi Fera, lungo la strada che conduceva dall’autostazione a piazza Zumbini e poi al liceo, rimetteva in vendita a metà prezzo gli invenduti di Cianflone, Domus grande e Domus piccola di via Montesanto. I libri bisognava cercarli perché erano messi li’ negli scaffali senza distinzione, l’esercizio fu utile. In seguito imparai a cercarli sui barroccini e nelle librerie a metà prezzo di Via San Gallo ed in quelle antiquarie di Borgo Pinti a Firenze.
Tutte edizioni economiche e prive di valore bibliofilo. Oggi nessuna di queste librerie esiste più.
I miei sottofondi erano di Guccini e Battiato. Quelli di Barbara, Baglioni. “Fisiognomica” da poco uscito al confronto con “La vita è adesso” mi sembrava un altro pianeta. Ed in effetti lo era. Baglioni sempre in TV, Battiato per pochi intimi. Ma “La vita è adesso” era azzeccato per quegli anni “carpe diem” e Baglioni decisamente più bello di Battiato. Anche questo contava.
Del Prof. di Matematica, D’Amico, ricordo la forte inflessione albanese (veniva dal glorioso liceo classico di San Demetrio Corone, lo stesso di Mortati e Rodotà, scoprii in seguito) e il suo modo di insegnare la matematica con l’uso delle filastrocche. Una terminava cosi “…e vo dicendo gaio ritmo, logaritmo!” Nelle parole c’era la formula da imparare ma adesso non la ricordo più.
Della Siragusa ricordo il suo impegno per la copertina del primo annuario del liceo, dopo aver scartato molte idee figurative arrivò la giusta ispirazione. Indimenticabili quei triangoli colorati. A me facevano ridere e lei rispondeva “Scarnati maledetto!” però era apprezzabile la condivisione con la classe che ne faceva.
Il Prof. di religione cattolica era un prete, insegnava anche all’Arcivescovile. E mi dicevano che era bravo, ma con noi non si sprecava. In quegli anni trovai per caso un suo libro : “Giovani senza gioventù’” sugli anni settanta. Interessante, per certi versi inaspettato da uno come lui e dirompente nel suo contesto, ma era evidente un cambiamento notevole dal giovane prete che aveva scritto il libro al docente chierico che aspirava a diventare monsignore.
A lasciar fluire i ricordi forse emergerebbero tante altre cose ma si rischia di diventare noiosi.
Le invio dunque caro Prof. Avignone questi schizzi non so se ne ricaverà qualcosa per il suo lavoro.
Comunque grazie! Se ho imparato a pensare lo devo anche a Lei.
Giovanni Scarnati
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