20 anni di Gramna

Il 21 gennaio 1990 un gruppo di ragazzi fondò il primo spazio sociale di Cosenza. Erano gli anni del riflusso. Ma il Gramna – come la nave di Fidel Castro, con un piccolo refuso per non prendersi troppo sul serio – rappresentò un modo per reagire. E anche oggi che non c’è più continua a seminare germogli. Lontani anni luce dai pogrom di Rosarno.
«Eravamo arrivati a Cuba dopo otto giorni di navigazione attraversando il Golfo del Messico e il Mar dei Caraibi, senza viveri, con uno scafo, il Granma, in cattive condizioni, quasi tutti col mal di mare per mancanza di abitudine alla navigazione, dopo essere partiti il 24 novembre dal porto di Tuxpan, in una giornata di tramontana, in cui la navigazione era proibita. Tutto ciò aveva lasciato la sua impronta nella compagnia, composta di uomini inesperti che non avevano mai combattuto». Così il Che nei suoi diari rievocava la traversata verso Cuba dei barbudos, a bordo di un battello di nome Granma, 18 metri di lunghezza e 5 di larghezza. Con un obiettivo ben preciso: rovesciare il regime di Batista. Era il 1956. Trentaquattro anni dopo, il 21 gennaio del 1990, venti anni orsono, un manipolo di giovani cosentini, studenti, lavoratori, ultras del Cosenza Calcio, occupano il Cinema Italia e lo trasformano nel primo centro sociale autogestito della Calabria. Gli danno il nome dell’imbarcazione del Che, Fidel e compagni: El Gramna. Con un piccolo refuso. Voluto per non prendersi troppo sul serio rispetto all’epopea cubana. Sebbene non ambizioso come quello dei rivoluzionari cubani, l’obiettivo era, però, ugualmente qualificato: costruire un luogo autorganizzato di agibilità democratica e di conflitto sociale nel profondo sud. E, al pari dell’esperienza cubana, il «viaggio» del Gramna cosentino non fu certo privo di ostacoli.
«È finita la storia» Erano anni particolari, quelli all’inizio dei Novanta. Era da poco caduto il muro di Berlino ed il mondo intero si crogiolava nell’ottimismo: intellettuali, politici, giornalisti, e, perfino, i grandi manager delle multinazionali si complimentavano a vicenda, sicuri di aver eliminato per sempre ogni ipotesi di conflitto. Qualcuno si azzardava a dire: «È finita la storia», alludendo al fatto che tutto sarebbe stato pacificato, le contrapposizioni risolte, ognuno accordato sulle stesse parole d’ordine. Erano gli anni del riflusso. La cultura d’impresa e l’individualismo proprietario si impadronivano dell’immaginario collettivo, difesi ed esaltati dai media e dagli intellettuali che dentro il «pensiero debole» del quotidiano e della difesa dei propri privilegi trovavano l’alibi della loro fuga. Nei grandi labirinti metropolitani, viceversa, regnava il silenzio della separatezza e dell’impotenza: con centinaia di migliaia di giovani «non garantiti», sottoccupati e privi di rappresentanza, nei famigerati anni Ottanta. Gli anni del cinismo e dell’opportunismo. A far da contraltare e a resistere alla sbornia degli Ottanta c’era l’esperienza dei centri sociali autogestiti, nati nella seconda metà dei Settanta, soprattutto nelle città metropolitane. Il problema del tempo libero svuotato di senso, dell’isolamento giovanile, della carenza di spazi aggregativi, erano alla base dell’esigenza di creazione di centri sociali. Per contrastare l’alienazione della vita metropolitana, specie quella delle periferie delle grandi città, per confrontarsi e ritrovarsi, per promuovere informazione alternativa e controcultura. E queste necessità si avvertivano, anzi, si moltiplicavano nelle realtà di provincia del Mezzogiorno.
La grigia Cosenza rinasce Come Cosenza, città reduce da due guerre di mafia, la prima scoppiata negli anni Settanta con l’omicidio di Luigi ‘u Zorru, e che vide contrapposti i clan Pino-Sena da una parte e Perna- Pranno dall’altra, e la seconda, successiva all’omicidio del direttore del carcere Sergio Cosmai, che durò sino alla fine degli Ottanta. A quei tempi, Cosenza era priva di spazi di socialità giovanile. La città era vuota e anemica. L’unico luogo di ritrovo era Piazza Kennedy, l’unico locale aperto dopo le 21 il Free Pub. L’unica energia viva pulsava dietro gli striscioni degli Ultrà Cosenza. Occupare un edificio abbandonato e riempirlo di vita era, dunque, l’unica possibilità per provare a capovolgere e ricostruire la grigia Cosenza dell’epoca. Il levantamiento ci fu. Una miscela di rabbia ed energia costruttiva animò gli oltre cinquanta attivisti che diedero vita alla prima, poi alla seconda occupazione ed, infine, ad un ciclo di storie eclatanti che, nel giro di sei mesi, portarono alla conquista dell’ex Villaggio del Fanciullo, dal 1996 sede del Gramna. Senza lasciarsi deprimere dalla consapevolezza che in una città del sud è più difficile liberare il corpo, quel movimento riuscì a resistere ai processi, ai blitz cruenti della polizia e all’ostilità degli interessi criminali. Dopo, ci fu il trasferimento a Contrada Carricchio, in un ex orfanotrofio abbandonato. Qui trovarono sede di sperimentazione quegli stili di vita che, grazie all’influenza della vicina Università di Arcavacata, Cosenza aveva già in parte assorbito negli anni Settanta. Il computer collegato con le BBS di Milano, Roma, Padova, prefigurava internet e catalizzava un agire comunicativo. Suonarono sul palco oltre cento gruppi musicali, richiamando migliaia di giovani dal resto della Calabria. Le donne riunite nel collettivo «Streghe Maligne» sfidarono vittoriose pregiudizi e sfottò. I primi migranti vi furono ospitati. Molti dei protagonisti delle passate ondate sociali e politiche animarono incontri e dibattiti sulla memoria attualizzata. Tra Napoli e la Sicilia, Cosenza assunse, così, il ruolo di cerniera per la ricomposizione dei movimenti. Grazie anche alla nascita, sempre nel 1990, di Ciroma, la prima ed unica radio comunitaria del sud. Il rapporto tra le due strutture cosentine, Gramna e Ciroma, fu ambivalente: competizione e gelosia nelle fasi di avanzamento, solidarietà e mutuo soccorso nei momenti difficili. Attraverso una profonda riflessione sull’identità del sud, Ciroma – espressione cosentina per dire chiasso, fracasso – diventa sorgente di eresia, conferisce potenza allo spazio pubblico meridionale, propugna un municipalismo ribelle e solidale. La radio si prepara a festeggiare, tra pochi mesi, il ventennale. Il Gramna, invece, ha concluso la sua parabola, travolto dalle fluttuazioni cicliche degli spazi sociali. Però le tante molecole in cui si è disperso non si sono rivelate sterili. Da esso sono spuntati interessanti germogli come la Palestra di Boxe popolare e la casa editrice Coessenza.
L’Altra Calabria E la storia recente della Calabria non finisce qui. Altrove, infatti, nel corso degli anni sono fiorite numerose enclavi che si muovono lungo un cammino indipendente. Lo testimoniano le associazioni che fanno cooperazione sui monti del Reventino, tra Catanzaro e Lamezia, l’indomito Mimmo Tramontana ed i consorzi di libere realtà produttive nella zona di Gallico, a nord di Reggio. E, ancora, le aree strappate agli interessi speculativi delle ‘ndrine cosentine con la nascita delle Officine Babilonia e il CPOA Rialzo nel cuore della città bruzia; la Kasbah, associazione all’avanguardia nei progetti di integrazione multietnica, lo spazio sociale Filo Rosso all’Unical, i gruppi di acquisto solidale e Benicomuni, la Federazione Municipale di Base a Spezzano, il collettivo della Fiumara a Catanzaro, il CSOA Angelina Cartella di Reggio Calabria, il Dipartimento Multimediale Autogestito e il Forum dei Comitati ambientalisti, nato di recente sulla scia delle mobilitazioni di Amantea e Crotone. Questa è la geografia dell’Altra Calabria, distante anni luce dai pogrom di Rosarno. Il 21 gennaio del 1990 nasceva, dunque, il Gramna, il primo spazio alternativo calabrese. Da allora, il Gramna è morto e risorto diverse volte, finché un giorno, tanti anni dopo, ha deciso di sparire per sempre. Ma, come tutte le navi fantasma, ogni tanto riemerge e solca il mare. Il riflesso delle sue vele rosse rivive nelle risate dei pazzi, nei lampi degli artisti, nella rabbia dei ribelli.
Silvio Messinetti, Claudio Dionesalvi – (Cosenza)
il manifesto, 28 gennaio 2010

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