Avanti popolo e un po’ di riscossa

Sotto la campana di vetro
Una spessa campana di vetro sembra racchiudere pensieri e voci della sinistra extraparlamentare; una campana in cui critiche, denunce e proposte rimbalzano sul vetro perimetrale, per poi ricadere sulle teste di chi le ha formulate, mentre all’esterno regna il silenzio. Per chi ha fatto parte di un’associazione, movimento o centro sociale operante in Calabria, oggi questo silenzio risulta ingombrante, difficile da smuovere, tanto da far chiedere a molti: che fine ha fatto la sinistra extraparlamentare? Vista da lontano appare immobile, mentre il senso d’identità collettiva è disgregato. Guardando però la realtà di movimento attraverso una sorta di lente d’ingrandimento, si riesce a trovare qualche piccolo segnale di vita, qualcosa che fa dire: eppur si muove. Avviciniamo quindi la lente d’ingrandimento all’ex Villaggio del Fanciullo di Cosenza, quello che un tempo era il Gramna e che attualmente combatte una difficile battaglia per restare in piedi, e non in termini metaforici, ma come struttura fisica, poiché l’edificio necessita di una ristrutturazione che tarda ad arrivare. Politica del basso, identità collettiva e futuro dell’ex Villaggio del Fanciullo sono i temi di cui discutiamo con Claudio Dionesalvi, uno dei fondatori del centro sociale Gramna, newglobal che ha da subito si sentì parte del cosiddetto popolo di Seattle, e tra i tredici attivisti che furono imputati nel processo alla rete del Sud Ribelle.
Identità collettiva e Gramna
“Io non ci sto più dentro nel mondo senza senso, non ci sto più dentro e questo è il mio lamento”. Sebbene non citiamo lo slogan coniato da un movimento di lotta ma il canto intonato nella curva sud dello stadio cosentino, tuttavia la storia della sinistra extraparlamentare in Calabria passa attraverso percorsi di un’identità condivisa simile a questo sentire istintivo di generazioni che, passandosi il testimone di mano, hanno creato un racconto collettivo, di cui molti capitoli furono scritti nei centri sociali, primo fra tutti il Gramna. Cos’era agli occhi di Claudio Dionesalvi diciottenne?
“Avevo appena compiuto 18 anni quando occupammo tutto quello che c’era da occupare – racconta Claudio Dionesalvi – pur di ottenere uno spazio sociale in città. Fu l’esperienza più bella della mia vita. Solo in curva sud avevo provato simili emozioni. Sembrava un sogno: riuscire a costruire un luogo autonomo in cui realizzare un’altra socialità, un diverso modo di intendere la cultura, l’arte e la comunicazione;  parallelo alla città della merce-spettacolo, delle mafie e degli interessi sporchi delle lobby di potere, ma al tempo stesso conflittuale, perché alternativo alla politica dei partiti. Un sogno che siamo riusciti a concretizzare solo pagando un prezzo alto in termini di denunce e procedimenti penali. Ha rappresentato l’inizio di un cammino che ha portato alcuni di noi nelle carceri speciali ed in corte d’Assise. Fu quello il nostro “Ya basta!”. Fu un modo di dare vita a nuovi linguaggi, ad un’autoformazione e ad un differente rapporto col nostro corpo. È un sogno che a distanza di questi vent’anni rimane in piedi”.
Lutti da elaborare
La sconfitta di Rifondazione comunista alle ultime elezioni non è stata di certo un lutto da elaborare per chi ha da sempre vissuto la politica lontano dai seggi del Parlamento, tuttavia già prima di questa di questa sconfitta elettorale i movimenti avevano subito una battuta d’arresto, in parte fisiologica, in parte dovuta alla mancata capacità di incidere sui processi di globalizzazione. Questo quadro si è ripetuto a livello europeo e nazionale; in Calabria ha delle sue peculiarità? I centri sociali e i movimenti nella nostra regione hanno capacità di incidere nella formazione di una nuova sinistra calabrese lontana dagli organi partitici di potere?
“Su un piano più generale – sottolinea Claudio Dionesalvi – i movimenti hanno registrato una rarefazione dopo l’esplosione della guerra globale permanente. È naturale. Se quell’ondata creativa e ribelle sprigionatasi a Seattle, Genova e dintorni, fosse in moto perpetuo, diventerebbe istituzione, perdendo ogni energia. E chi pensava di portarla in parlamento s’è ritrovato ‘con il sedere rotto e senza ciliegie’. Quei movimenti hanno avuto la loro continuazione ideale nelle tante battaglie territoriali. Adesso bisogna capire con quali linguaggi possano tornare a riproporsi. In Calabria ci sono tante possibilità. A Cosenza, nonostante tutto sembri fermo, se pensiamo all’inverno scorso, abbiamo vissuto momenti di grande intensità: l’occupazione delle case e del Rialzo, il corteo del 2 febbraio. Ci sono ancora tante esperienze interessanti in giro dentro e fuori la città. Ma troppe intelligenze preferiscono vivere di sospiri e di rimpianti”.

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(l’occupazione del “Rialzo”)
Il rapporto con le istituzioni
Se nella città bruzia e nell’hinterland ci sono ancora esperienze importanti, cosa ne blocca la capacità di emergere? Una risposta può forse giungere proprio dalla lettera aperta che il centro autogestito ex Villaggio del fanciullo rivolge alle istituzioni.
«Da dieci anni il Villaggio del fanciullo è un centro che si occupa di sociale. Risale infatti ad un decennio fa lo scioglimento del collettivo politico che occupò gli edifici abbandonati in città all’inizio degli anni novanta, dando vita alla vertenza per la conquista di uno spazio sociale, il Gramna, che trovò sede nell’ex Villaggio del fanciullo di contrada Caricchio. L’aggregazione giovanile che originò il Gramna si disperse spontaneamente – si legge nella lettera del centro autogestito – rifluendo in città e contribuendo alla realizzazione di numerose altre iniziative sociali e culturali. Da quel momento l’ex Villaggio del fanciullo è stato gestito da associazioni che hanno prodotto laboratori di teatro, una palestra popolare, una casa editrice, un festival annuale dedicato alle controculture locali, eventi artistici, nonché percorsi lavorativi a cui hanno partecipato soggetti disabili o provenienti dalle aree del disagio psichico. Consapevoli dello stato di precarietà in cui versa l’edificio di contrada Caricchio, pericolante e ricoperto di eternit, nell’ultimo biennio  le associazioni operanti al suo interno si sono mosse su due livelli. Anzitutto si è avviata una riqualificazione dello stabile, con i pochi mezzi a disposizione ed in totale autonomia dalle casse comunali. Insieme a questa autocostruzione, sono stati proposti alle amministrazioni locali – in modo pubblico ed ufficiale – corposi e dettagliati progetti finalizzati alla ristrutturazione dell’immobile ed al rilancio delle attività che in esso si svolgono. Non si è trattato di una richiesta di denaro, bensì di un’istanza trasparente e dignitosa. È la stessa domanda che migliaia di giovani rivolgono ogni giorno alla “classe” politica calabrese: fare da tramite con l’Unione europea e le istituzioni preposte per ottenere l’accesso agli strumenti finalizzati al sostegno della cooperazione sociale».
Enti locali assenti
L’attenzione delle amministrazioni locali, da quella comunale a quella provinciale, però finora sembra quasi inesistente. «Purtroppo – si legge ancora nella lettera – dagli enti locali sono arrivate solo mezze risposte. Il Comune si è chiuso in un silenzio ostinato. Addirittura, due anni fa voleva usare lo stabile di Caricchio come magazzino per i mezzi e le attrezzature in disuso del settore manutenzione di Via gli stadi. A questo punto è necessario avviare una vertenza allargata per ottenere l’ascolto delle istituzioni».
Melissa Cosenza
Mezzoeuro, 6 settembre 2008

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