L’università respira. La speranza è appesa a un Filo… rosso

Entro di soppiatto come un giornalista d’assalto. Voglio intervistare Daniela.
Vito mi arpiona e parla degli anni ’70. Mustafà mi chiede una sigaretta. Daniela non mi caca proprio. Strano posto lo spazio autogestito “Filo Rosso”: incastonato nelle architetture postmoderne dell’università della Calabria, somiglia ad un giardino rinascimentale, senza il “verde”, ma carico di una forza innovativa incredibile. È un luogo frequentato in prevalenza da studenti, ma non vi ritrovi i linguaggi tipici della casta universitaria. Niente rampantismo e nessun riferimento ai classici discorsi del bestiario accademico: le tette di Tizia, gli appunti del professor Caio, il mezzaccio di Sempronio, le paranoie da esami… Eppure studiano, al Filo Rosso. Leggono le dispense dei docenti, si occupano soprattutto della necessità di allargare il dibattito sul reddito di cittadinanza, guardano al lavoro in modo critico, discutono di antiproibizionismo, ricostruiscono la storia rimossa degli anni settanta, navigano in internet. Si divertono, al Filo Rosso. Quasi ogni sera si ascolta buona musica e circolano facce nuove. Un info-shop dove reperire materiali a Cosenza introvabili, un centro stampa, dormitorio e mensa autogestiti, sala cinema e teatro… ma sentiamo chi lo abita.
L’università “ufficiale” non vi ha riconosciuto, ma il mondo accademico sì: molti docenti partecipano ai vostri dibattiti.
…perché esistono persone che hanno memoria e non smettono di credere in quello che dicono. Alcune posizioni espresse negli ultimi tempi, rappresentano un riconoscimento politico a chi, all’interno dei centri sociali, porta avanti un progetto di autorganizzazione.
Siete riusciti a riportare un briciolo di socialità in questa gabbia di cemento. Molti, prima di voi, hanno fallito. Incapacità degli altri o merito vostro?
Per superare tutte le difficoltà che si devono affrontare in un posto occupato, la determinazione è importante. Se Filo Rosso ha continuato ad esistere, e a produrre tantissimo a livello politico e culturale, lo dobbiamo al fatto di aver sempre creduto in quello che abbiamo fatto. Noi non aspettiamo che le cose ci vengano date. Non mi interessa quindi “criticare” le istituzioni per le loro inadempienze. Noi pensiamo di dover fare qualcosa e passiamo subito all’azione, riappropriandoci di quello che ci serve. Un confronto ci può essere, ma preferiamo il movimento dal basso, perché sono le esigenze degli studenti che determinano luoghi e modi della socialità.
Non solo studenti al Filo Rosso…
No. Ogni sera vengono tante persone che probabilmente preferiscono la socialità di un posto come questo alle quattro chiacchiere dei locali.
La città sta cambiando. Il modello di aggregazione oggi è il locale privato.
A Cosenza non esistono solo pub o discoteche. È una città molto viva sul piano culturale, perché c’è dell’associazionismo di base. Ciò che manca è la relazione tra queste associazioni, un progetto comune, che potrebbe nascere accogliendo le differenze e cercando i punti in comune. Cosenza ha un passato e una funzione culturale che altre provincie non hanno in Calabria.
Quando avete occupato, qualcuno disse che la vostra forza sarebbe derivata dalla composizione del collettivo, formato da ragazzi provenienti da altri punti della Calabria.
Questo era vero all’inizio. Oggi ci sono tanti cosentini che si assumono responsabilità e partecipano all’autogestione del Filo.
State portando avanti un dibattito sul reddito di cittadinanza, ma come si fa ad ottenerlo?
Non credo che ci siano regole prestabilite o percorsi così veri da condurci alla soluzione. Si deve aprire una discussione ampia sui mutamenti sociali avvenuti. In questa società, che è fondata sul lavoro, il lavoro stesso non rappresenta più la stabilità di un tempo. È cambiato il lavoro, sono cambiati i lavoratori. C’è bisogno oggi di un confronto, perché anche chi parla di “riduzione dell’orario di lavoro” o “lavori socialmente utili”, non afferma certezze, ma indica percorsi che si potrebbero sperimentare.
Credi che il vostro modello di cultura, estraneo al professionismo, incline allo spontaneismo, possa riprodursi?
Sì!
L’intervista ad Iris è finita, Vito riattacca sugli anni ’70, Daniela ed il computer si scambiano occhiate focose, Mustafà ha trovato la sigaretta.
Claudio Dionesalvi
Teatro Rendano, n° 7   1996

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