Non si sono estinti in Calabria i sit-in dei comitati popolari in lotta per la sanità pubblica. Davanti ad ospedali dismessi e strutture incompiute, gruppi spontanei di cittadini espongono striscioni e invocano l’immediata attivazione di presidi medici sul territorio. A Cariati, dove da 100 giorni i comitati occupano alcuni locali dell’ospedale in segno di protesta, un’intera popolazione pone domande che attendono risposte.
GIÀ IL CARTELLO all’ingresso del territorio municipale mescola pubblico e privato: «Benvenuti a Cariati. Firmato: iGreco». Di solito la segnaletica reca il logo delle amministrazioni comunali. Qua invece il segnale è griffato da una delle famiglie calabresi impegnate nella sanità privata. Tre sono le cliniche di sua proprietà nella sola città di Cosenza, lontano capoluogo di una provincia che sul versante ionico termina proprio qui, sul confine tracciato dal fiume Nicà, dove nel 510 A.C. sibariti e crotoniati combatterono una delle battaglie più sanguinose dell’età antica. Anche il sindaco è una Greco, stirpe intraprendente che progetta la realizzazione di altri ospedali privati. Uno avrebbe voluto costruirlo in casa propria, a Cariati.
Eppure un ospedale c’era già, quello pubblico, e adesso riposa agonizzante sulla via principale della marina. È in perfette condizioni, ma chiuso. L’edificio da 13mila metri quadrati, 150 posti letto attivabili subito, vanta addirittura un laboratorio d’analisi funzionante, però non operativo per mancanza di personale. Tornerebbe utile in piena emergenza pandemica. Di quello che un tempo fu l’ospedale di Cariati rimane in piedi solo la facciata, il «Punto di primo intervento», in realtà un centro di smistamento per 12mila accessi all’anno. «Tutti i reparti sono chiusi. Allora, quando stiamo male, veniamo qua e ci dicono dove possiamo andare a morire», spiega un anziano signore che partecipa all’occupazione. Se tutto il resto dell’ospedale non è stato ancora vandalizzato, il merito è soprattutto dei pochi operatori sanitari rimasti, ma anche del comitato popolare che lo occupa. «Il primo ad entrare ed a chiedere che sia rimesso in funzione sono stato io. Poi i comitati “Le Lampare BJC”, “Uniti nella Speranza”, “Escia a mare”. Alla fine è arrivato tutto il paese con gli striscioni e non ce ne siamo andati più», spiega orgoglioso Mimmo Scarpello, detto “il Massaro”. Al suo fianco ha le idee chiare Mimmo Formaro, giovane attivista che racconta la storia della mobilitazione con la bandiera del “Che” alle spalle.
UN COGNOME che a Cariati devi pronunciare sottovoce è Scopelliti. Sentendolo, la gente ti guarda male. Fu lui il presidente di Regione quando fu avviato il «Piano di rientro». Dal governo centrale arrivò l’ordine di risanare il buco nel bilancio. Tra gli ospedali massacrati c’è anche questo, il «Vittorio Cosentino» di Cariati, l’unico che aveva il bilancio in attivo.
IL «CENTRO DI ECCELLENZA». Così, lungo questo tratto della fascia jonica, 300mila abitanti sono senza cure. Ogni 1000 persone il numero dei posti letto disponibili è 0,98, contro i tre della media nazionale. Tra Policoro, in Basilicata, e Crotone, 60 chilometri a sud, l’unico ospedale aperto sarebbe quello di Rossano, che comunque dista 40 tortuosissimi chilometri. Ma la recente infelice idea di impiantarvi un centro Covid ha ridotto l’ospedale rossanese al collasso. «Qui la pandemia è arrivata molto tempo prima del 2019 – spiega Mimmo Scarpello -. La nostra pandemia è l’infarto. Da quando hanno chiuso il reparto di Cardiologia l’indice di mortalità è schizzato dal 3 al 10 per cento. Arriviamo morti al primo intervento d’urgenza, anche perché non abbiamo ambulanze medicalizzate».
Disagi moltiplicati per le donne partorienti. Giovanna è un’ex ristoratrice. Adesso il suo ristorante è chiuso. Giovanna fece in tempo a mettere al mondo qui i suoi tre figli, prima che il commissariamento decretasse anche la chiusura di Ostetricia e Ginecologia. E pensare che al tempo di Scopelliti la Regione promise di trasformare l’ospedale di Cariati in un «centro di eccellenza». Trascorse poco tempo da quell’annuncio roboante e il commissariamento ripiegò sulla formula di «Casa della Salute», che gli occupanti liquidano come «uno stratagemma per ottenere due risultati: abbattere una volta per tutte la possibilità di restituirci l’ospedale e consentire ai privati di rientrare in gioco appaltando la gestione dei principali servizi e delle prestazioni più richieste».
Al tramonto davanti agli striscioni si formano capannelli spontanei di anziani. Qualcuno ricorda che il commissario Longo ha promesso che verrà per un sopralluogo, «ancora però non s’è visto». Il prossimo striscione appeso all’inferriata potrebbe essere un messaggio rivolto a lui: «Il paradiso può attendere. Cariati no». Prima che pure Longo si dimetta.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti
il manifesto, 19 febbraio 2021
Leave a Reply