CDM del cuculo, risorgerà la Calabria dalla malasanità?

Il governo gialloverde discende oggi a Reggio per liberare i calabresi dalla malasanità. Tra medici ed infermieri regna lo scetticismo nei confronti del “decreto Calabria” e del consiglio dei Ministri che la ministra della Salute Giulia Grillo ha voluto riunire in riva allo stretto. “Ripristinare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza”, questo l’obiettivo primario del CDM. Il decreto prevede che il commissario ad acta effettuerà una verifica semestrale sui direttori generali. In caso di valutazione negativa, essi decadranno dall’incarico. Inoltre un unico commissario potrà amministrare più enti. A copertura di questa operazione, saranno stanziati 472.500 euro annui per il 2019 e il 2020. Gli enti del servizio sanitario della Regione Calabria si serviranno “esclusivamente degli strumenti di acquisto e di negoziazione aventi ad oggetto beni, servizi e lavori di manutenzione messi a disposizione da Consip”. Per l’affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture inferiori alle soglie di rilevanza comunitaria, il decreto prevede che il commissario ad acta stipulerà un protocollo d’intesa con l’Anac. Nel 2019, 82 milioni saranno destinati all’ammodernamento tecnologico. Sarà cancellato il vecchio tetto del 2010, che inchiodava la spesa del personale sanitario al livello della spesa 2004 – l’1,4%. Dunque a decorrere dal 2019, la spesa per il personale degli Enti del Servizio sanitario nazionale di ciascuna Regione non potrà superare il valore della spesa sostenuta nel 2018.
“Se un merito ha avuto la ministro Grillo, è quello di aver ravvivato il dibattito sulla sanità calabrese, che ad oggi secondo i dati che abbiamo in mano si pregia di un disavanzo di circa 200 milioni annui”, spiega Francesco Febbraio, medico del 118 a Cosenza. Non convince però il modus operandi tipico di questo governo, che procede “per emergenze”. Secondo Febbraio, il governo “non fa i conti col potere mantenuto da vecchi burocrati in larga misura responsabili dello sfascio della sanità calabrese, con la consolidata subordinazione dei manager della Sanità alla politica e col «condizionamento ambientale» da parte di ‘ndrangheta e soggetti occulti, allegre e meschine pratiche gestionali”. Chi vive negli uffici e nei reparti ospedalieri punta il dito contro “le nomine di vertice decretate dai governatori regionali, in base a fedeltà e mai a competenze; i famigerati concorsi a primario non autorizzati oppure definiti per favorire questo piuttosto che quello, senza effettiva verifica dei curricula e perfino in mancanza dei relativi reparti”. Se in provincia di Reggio Calabria la situazione drammatica è stata di recente documentata da diverse inchieste giornalistiche e giudiziarie, l’ateneo e il policlinico universitario catanzarese versano in una condizione di anonimato, mentre l’ospedale cosentino è al collasso per effetto dei tagli alle strutture sanitarie pubbliche dislocate sul vasto territorio provinciale, avvenuti negli ultimi anni. E se il dottore Febbraio non esita a definire “barzellette” le unità aziendali Anticorruzione, la quasi totalità dei suoi colleghi impegnati in strutture pubbliche individua le cause del problema nel “sovradimensionamento delle cliniche gestite da ricchi e influenti privati che vengono foraggiati allegramente da ogni politico di qualsiasi colore insediatosi alla guida della Regione”. Il decreto gialloverde pone la “novità” d’imporre al commissario ad acta precisi adempimenti a scadenza fissa. “Ma su che cosa? Con quali strumenti? Nella sostanza, cosa dovrebbe controllare lo stesso commissario?”, si chiede un oncologo in servizio presso l’ospedale di Catanzaro, che preferisce restare anonimo. “Le aziende interessate sono sprovviste di strumenti utili a rendicontare semestralmente il loro operato, sia nel bilancio che nei loro andamenti gestionali ricavabili da una contabilità analitica che non c’è, per non parlare dell’impossibilità di procedere alla verifica della qualità dell’assistenza erogata. Dunque – prosegue lo specialista – l’idea di un controllo “emergenziale” con affido a giudici e Guardia di Finanza, mostra già la sua debolezza”. Perentoria anche la denuncia degli operatori del Pronto Soccorso di Cosenza: “Se la Grillo fosse venuta qui, fra le mille barelle con malati inflebati, la puzza di orina e di umori indistinti, fra le stanze-corridoi, si sarebbe resa conto che i tagli lineari e la falcidia dei presidi periferici non hanno minimamente tenuto conto delle esigenze dei territori. Così si è consumato quello che abbiamo sempre temuto, cioè la non garanzia di un minimo standard di qualità ed efficienza dell’offerta sanitaria pubblica”. Un paziente che si rechi al Centro Unico Prenotazione di Cosenza per una colonscopia, deve attendere dai tre ai sei mesi; per una TAC o una gastroscopia dai quattro ai cinque mesi. In regime intramoenia invece gli esami si eseguono subito, ma il costo va dalle 200 alle 300 euro. Ancor peggio sono le visite private, offerte a distanza di poche ore. Soffocati tra il pubblico che non funziona e il privato oneroso e clientelare, molti pazienti emigrano in altre regioni. Vivono ormai con rabbiosa rassegnazione le stimmate dell’emigrazione sanitaria forzata. Il clima di resurrezione pasquale non allevierà le loro sofferenze.
Claudio Dionesalvi

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