beach terminal, quarta giornata: da Paola a Cetraro

Nel viaggio di ieri, padrona del campo è stata la pioggia. Oggi il vento. Spiagge deserte, paesaggi autunnali, la natura si diverte a mutare gli scenari, appiattendo il mare che s’incupisce di un colore argenteo.
È proprio la loro fertile mutevolezza che ha reso attrattivi questi luoghi. Gli antichi romani se ne innamorarono. Vi costruirono ville. Rimane ben poco dei loro insediamenti. Ogni tanto, nel bel mezzo dei cantieri edili, spuntano reperti. Monili, vasi, oggetti di valore spariscono nei magazzini della burocrazia archeologica. Tutto il resto viene risotterrato con vandalica solerzia. I resti delle antiche civiltà rappresentano un ostacolo per i cementificatori.
Marco Pagliaro è un giovane archeologo e musicista paolano. Si è laureato con una tesi sulle ville romane presenti nel comprensorio cosentino. Ne ha censito 167 tra i due mari, la Sila e il Pollino. Il Tirreno è pieno: due a Paola, tre a San Lucido, due a Fiumefreddo, tre ad Amantea, una a Belvedere, quattro tra Diamante e Cirella, una a San Nicola Arcella, tre a Scalea e tre a Grisolia. Quando gli chiedo quante siano quelle visitabili, risponde con tono amaro: “Solo quella di Cirella. E poi ce n’è una ad Amantea. Degli altri siti, nessuno è fruibile”. La villa conservata meglio? “È in località Palazzi a San Lucido”, spiega Pagliaro. “Sono insediamenti – continua l’archeologo – che risalgono a un arco di tempo dal II secolo A.C. al II D.C.. Alcuni sono del V secolo”. Ma dov’è possibile visionare i reperti provenienti da questi siti? “In totale onestà non saprei rispondere dove siano”.
Dopo i Romani, i poteri costituiti sono stati incarnati dai Bizantini. Un altro argomento caro al linguista John Trumper:

Trumper è stato uno dei primi a dimostrare la presenza significativa dei Longobardi a Fuscaldo. Dovevano essere gente bellicosa, dedita a una ritualità cruenta. Comunque niente in confronto al sangue che ogni estate scorre sulla Statale 18. In spiaggia non c’è mercato, oggi. Allora mi sposto sul tratto di strada che collega Fuscaldo a Guardia Piemontese: una carrellata di croci, fiori e lapidi. Tanti, troppi automobilisti qui sono stati falciati da lamiere motorizzate. Pare che persino il mare si sia indignato e abbia deciso di avanzare, rubando spiaggia per decine di metri. Chi volesse studiare l’impatto dell’uomo sulla natura, dovrebbe venire quaggiù.
“Mentre passeggiava verso sud, Maria rifletté su quanto il mare d’inverno modifichi le coste, rimescolando la sabbia e modellando le rocce, poi lo fissò: – Tu hai solo reagito agli stupri! La spiaggia lunghissima della sua infanzia si era accorciata man mano che lei era cresciuta, e intanto su tutta la costa tirrenica si accumulavano ecomostri abusivi con impatti destabilizzanti”, scrive la fuscaldese Elisa Stefania Tropea in “Maresia”, un bellissimo romanzo edito da Coessenza.
Il cuore e la testa si spostano a Rossano, dove in queste ore la gente soffre, costretta lasciare le case sommerse dall’alluvione. Sullo Jonio cosentino cominciano a vedersi gli effetti dell’aggressione che già si sono visti sull’altro versante marittimo. È stato un attacco brutale, quello portato dai palazzinari. Oggi le spiagge del Tirreno non sono più sotto i nostri piedi, bensì spalmate intorno a noi: le case, i villaggi turistici e gli alberghi piantati uno sull’altro lungo la costa, sono stati costruiti con la sabbia che un tempo dai torrenti scivolava a valle per formare le spiagge.
Se ne accorse subito lo scrittore Paolo Rumiz passando da queste parti In uno dei suoi tour. Nel diario curato per “la Repubblica”, annotò l’enorme distacco geografico e antropologico esistente tra le località balneari adagiate lungo l’asse tirrenico cosentino e i rispettivi centri storici arrampicati sulla catena collinare costiera. C’è una Cetraro di sopra e una di sotto, una Acquappesa di sopra e una di sotto. A parte centri urbani più vasti come Paola e Amantea, che possono vantare una continuità tra urbanità passata e presente, ogni paese ha la propria giovane propaggine rinnegata in basso. Ciascuna località di fatto è un Comune a sé, legato al proprio doppione solo da vincoli amministrativi. Guardia Piemontese è uno degli esempi di questo fenomeno. Sopra riposa un centro storico meraviglioso e carico di storia, sotto la cementificazione selvaggia ha eiaculato un agglomerato di case senza identità. In mezzo, a metà altitudine, giacciono le terme Luigiane, da sempre oggetto di un’infinita contesa col vicino comune di Acquappesa del cui territorio amministrativo fanno parte. La marina di Guardia è attraversata dalla temibile Statale 18. Nonostante il tributo di sangue versato da molti pedoni nel corso degli anni, automobilisti frettolosi, impacciati e deregolamentati sfrecciano su quest’arteria, seminando il panico tra ciclisti e bagnanti che rientrano da ciò che resta di quella che un tempo fu una spiaggia immensa. Poco importa che alle spalle di Guardia marina da qualche decennio scorra una veloce variante realizzata bucando la montagna. Gli automobilisti provenienti da nord o da sud raramente rispettano i limiti imposti per i centri abitati. E di installare autovelox, dissuasori, barre o cordoli di rallentamento, non se ne parla proprio. Vietata qualsiasi forma di contenimento della velocità! Persino la segnaletica non è da centro abitato, perché se no poi c’è il rischio che gli automobilisti non passino più da qui. Se non passano, non consumano.
E pensare che era attrattiva Guardia Piemontese, tanto tempo fa! Aperta a un turismo fatto soprattutto di famiglie, accoglieva anche frotte di movidari in transito notturno verso le discoteche. L’epopea del Manhattan, il locale che catalizzava migliaia di giovani avventori, oggi ha lasciato posto alle giostrine dove poche mamme avvenenti accompagnano rumorosi marmocchi.
Qualche decennio fa il mix di balneazione, cultura e cure termali, fece di Guardia una meta turistica d’eccezione. Poi nel giro di un paio d’anni la spiaggia sparì. Era la metà degli ‘80. Di solito la mareggiata arriva, sommerge, ridisegna la costa per qualche giorno, allontana uomini e barche. Alla fine il mare rientra, riportando tutto a com’era prima. Quella volta non andò così. Da un’estate all’altra i bagnanti ritrovarono le onde lì dove prima si disputavano interminabili e agguerriti tornei di beach soccer. Duecento metri di sabbia sommersi dall’acqua! Sembrava un dispetto malefico di Nettuno che si riprendeva qualcosa di suo. In pochi giorni, per effetto dell’azione devastante compiuta a partire dagli anni sessanta dalla borghesia cementiera e predatrice, il mare annientò i materiali alluvionali depositati dai torrenti in 6mila anni. E non ci fu ripascimento, perché i torrenti non avevano più nulla da portare a valle. Ci guardavamo negli occhi sconsolati. I più anziani provarono a sdrammatizzare: “Vedrete che presto si riformerà, la spiaggia tornerà”. Invece le mareggiate penetrarono fin sotto i tunnel pedonali, minacciando la massicciata della ferrovia, invadendo le case costruite a ridosso della spiaggia. Tra gli esperti, alcuni puntano il dito anche sui lavori del porto di Cetraro e sulle barriere di San Lucido, le cosiddette “T”, che avrebbero influito negativamente sugli equilibri delle altre zone costiere. Gli enti preposti intervennero. Ferrovie dello Stato temeva che il mare inghiottisse i binari. Furono posizionate break waters che frenarono l’erosione in quel tratto. Eppure la prima vittima di quegli interventi fu il fondale marino, deturpato per sempre. Le praterie di alghe e posidonia vennero cancellate e coperte da uno strato di fanghiglia. Da allora, in un tratto di costa lungo almeno mezzo chilometro, per entrare in acqua bisogna essere fachiri, equilibristi o calzare gli anfibi: proprio a ridosso della battigia si è formato una linea di fastidiosissime pietre limacciose, grandi quanto noci di cocco. Impossibile camminarci sopra senza cadere, col rischio di rompersi la schiena. Solo in quest’estate il fenomeno sembra essersi attenuato.
Gianfranco Bartolo è un geologo paolano, molto preparato sul tema dell’erosione:

Negli anni ottanta, comunque, il primo ad “allontanarsi” era stato lo Scoglio della Regina (comune di Acquappesa), che una volta lo potevi raggiungere a piedi. Narra la tradizione popolare che nelle sue vicinanze abitavano un re bellicoso e una stupenda regina, molto innamorati. Un giorno lui decise di sfidare il mare, dopo aver sconfitto tanti eserciti. Al momento di partire le disse che prima di tornare avrebbe acceso una luce rossa, e che lei l’avrebbe vista all’orizzonte. I giorni trascorsero ma il re non rientrava. Ogni sera la regina impaziente osservava il tramonto però nessuna luce appariva. Un giorno salì sullo scoglio per vedere meglio, ma cadde e annegò. Ancora oggi, quando in lontananza si scorge un bagliore rosso, i fantasmi dei due innamorati si ritrovano in un anfratto della possente roccia marina.
Nel tentativo di riportare a terra lo scoglio e i suoi miti, nel 2012 il comune di Acquappesa ha realizzato dei lavori di ricostruzione e protezione del litorale, per un importo di 1 milione e 500mila euro provenienti dal POR Calabria 2007-2013.
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Sono parte dei fondi stanziati da colui che all’epoca era assessore regionale alle Infrastrutture, Pino Gentile.

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Dei 19 milioni destinati a contrastare l’erosione costiera in provincia di Cosenza, ben 14 erano stati riservati al litorale tirrenico.
Legambiente insorse contro i lavori dello Scoglio: “Barriere inutili e dannose per la costa tirrenica. A rischio l’habitat di uno dei siti di punta del Parco marino Riviera dei Cedri”. In un documento, individuava le origini del problema: “È notorio, infatti, che causa dell’erosione sono la cementificazione della costa e il massiccio prelevamento di materiale sabbioso dai corsi d’acqua”.

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Per gli attivisti del Cigno Verde, il caso dello “Scoglio della Regina” era “emblematico e rispecchia lo stato disastroso delle nostre coste, vittime di interventi scellerati del passato e di operazioni contestabili”. Nacque un Comitato civico “contro l’intervento programmato dal Comune”, che prevedeva appunto “la realizzazione di barriere in mare per rigenerare la spiaggia riportandola a com’era prima delle mareggiate degli anni ‘80”.
Oggi, a distanza di tre anni dall’esecuzione di quei lavori, se davvero l’obiettivo era riformare la spiaggia, i risultati sono a dir poco deludenti. Il mare ha impiegato pochissimi giorni per risucchiare la striscia di massi che collegava lo scoglio alla riva.
Di positivo c’è solo la qualità dell’acqua che in questo tratto, rispetto ad annate nere come il 2009, si presenta pulita.
Se invece i lavori servirono a frenare l’avanzata del mare, di fatto lo scoglio ha assunto la funzione di frangiflutti. E come già accaduto altrove, il fondale ha cambiato conformazione:

 Un documento commissionato dal comune di Guardia nel 2008 a un gruppo di geologi messinesi, dal titolo “Opere di ricostruzione e protezione del litorale in erosione”, conferma la complessità del problema. “La morfologia del litorale – scrivono gli esperti – è condizionata da due fattori preminenti: il primo è costituito dalle fiumare che solcano tutto il versante, fra le quali spiccano la Fiumara dei Bagni ed il torrente della Lavandaia, mentre il secondo fattore è di carattere antropico in quanto tutto il litorale è limitato a monte dalla linea ferrata e dalla S.S. 18 (…) A tal proposito va tuttavia rilevato che il litorale è influenzato sia da una certa riduzione dell’apporto solido delle fiumare provocato da alcune opere di regimazione, sia dalle opere di protezione di difesa costiera ed infrastrutturali presenti”. Chiare le responsabilità, secondo i geologi: “È da notare che l’antropizzazione della pianura alluvionale ha ormai comportato la quasi totale scomparsa dell’apparato dunale retrostante tipico della costa tirrenica della Calabria”.
Ecco il parere del PM Bruno Giordano sul tema dell’erosione costiera:

Al di là dei problemi del mare, tra gli anni novanta del ‘900 e l’inizio di questo secolo, Guardia non ha perso la propria vocazione culturale. Iniziative a tutela della minoranza di lingua occitana hanno consentito interessanti esperimenti teatrali e musicali. Nel 1997 mettemmo in scena questo spettacolo, con la partecipazione degli abitanti del centro storico.

Una ventata di innovazioni è stata portata in anni recenti anche dal compianto sindaco Gaetano Cistaro, tra i primi ad avviare la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani, in assoluto isolamento. A Guardia oggi il servizio è attivo. Purtroppo, nella stagione estiva come durante il resto dell’anno, gli addetti al ritiro dei sacchetti differenziati sono solo in tre, nonostante la popolazione si moltiplichi tra luglio e agosto. Sono tre ragazzi disponibilissimi e laboriosi, che in queste settimane sono costretti a sopportare un carico di lavoro impressionante. Devono fare i conti pure con moltissimi miei concittadini riluttanti a differenziare i rifiuti prima di consegnarli. Lo sport estivo di tanti Cosentini è il lancio della munnizza dal finestrino dell’auto a tutta velocità. Così le piazzole della statale 107, che collega il mare a Cosenza, sono trasformate in discariche.

Quelli che lanciano la spazzatura, sono gli stessi che si lamentano del mare sporco. E sono seguaci della religione consumista. Pretendere da loro che differenzino ciò che consumano, è come costringere un credente a confessarsi fino a due o tre volte al giorno. Il problema è psicologico: differenziare la propria munnizza è come guardarsi allo specchio con insistenza. Ci si accorge dei propri difetti.
In Calabria i ritardi sull’avviamento della raccolta differenziata sono il riflesso di mali più antichi. Roberto De Santis, presidente nazionale del CONAI, spiega la ricaduta negativa, sull’intera regione, della scellerata mancanza di assunzione di responsabilità da parte di molti primi cittadini.

Prima di uscire da Guardia, mi fermo a pasteggiare in un giardino pubblico con un gruppo di colleghi ambulanti. Vengono dal Bangladesh. Mi offrono della frutta. Dopo essermi congedato da loro, m’inerpico sulla montagnetta che sovrasta lo scoglio della Regina, e vedo l’entroterra alle spalle di Guardia. Sono boschi fiabeschi, carichi di mistero. Poco distante da qui, in alto, sopra Fagnano, ci sono gli unici laghi naturali di Calabria, tra cui “Il lago dei due uomini”. Narra una storia horror Vincenzo Padula, uno dei primi veri cronisti della storia del giornalismo italico: in queste boscaglie, tormentata dalla vergogna e dal rimorso, una monaca si suicidò, dopo aver tolto la vita al proprio figliolo appena nato. Rimase insepolta. Chiunque transitasse sulla via tra Sangineto e Fagnano gettava sui suoi resti una pietra. Un giorno un bovaro passando da quei sentieri incontrò un bambino, lo prese in braccio e lo portò con sé. Ma il fanciullo si faceva sempre più pesante, finché “ruzzolò per terra”. A quel punto apparve la monaca e i due si ricongiunsero. Il Padula aveva attinto a una di quelle cronache popolari tanto care a un compianto scrittore, il mio amico Giulio Palange che a Guardia villeggiava in estate. Mi accoglieva nella sua casa ogni anno. Prima di lasciarci, mi regalò l’ultima edizione di un libro stupendo: “Guida alla Calabria misteriosa”, che in questo viaggio custodisco nello zaino come una Bibbia. A Giulio sarebbe piaciuto moltissimo il più bel festival culturale e musicale, che si tiene poco distante da Fagnano, a Joggi.

http://joggiavantfolk.blogspot.it/

Mentre ripenso a Giulio, quando ormai sono in prossimità di Cetraro, canticchio i versi di un altro artista famoso e importante, il guardiolo Dario Brunori:

(continua)

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