In Calabria il governo fa propaganda: commissaria la sanità, Oliverio ricorre

Un’allegra scampagnata elettorale in Calabria. Dove tra sei mesi di vota per le Regionali e la destra vuol ritornare al potere per fare ancora danni dopo il disastro dell’era Scopelliti. Una passeggiata in riva allo Stretto demagogica niente più. La triade Conte – Salvini- Giulia Grillo scende all’estremo sud per mettere le bandierine della propaganda. Comincia, di buon mattino, il ministro dell’Interno con l’immancabile visita a San Ferdinando. Nessuna parola per i migranti morti carbonizzati nella favela ma puro veleno xenofobo. «Alle mie spalle – sproloquia nella solita diretta facebook – quello che rimane di una baraccopoli che era teatro di scontri, reati, furti, violenze, incendi, morti e feriti. C’erano infiltrazioni mafiose e prostituzione tra i migranti. Avevamo promesso di usare le ruspe e questo è il risultato». Sulla lotta alla criminalità organizzata precisa che «stiamo continuando con efficacia il lavoro di contrasto alla ’ndrangheta. Ci stiamo concentrando sull’utilizzo dei beni confiscati e puntiamo a rafforzare l’Agenzia nazionale che li gestisce, compresa la sede di Reggio Calabria». Nulla, ovviamente, da dire sulle critiche di Libera e delle associazioni antimafia per le quali la riforma della normativa sui beni confiscati altro non è che una vendita ai migliori offerenti (mafiosi compresi).
MA IL CLOU DEL CONSIGLIO dei ministri in trasferta è sulla sanità: approvazione all’unanimità cosiddetto «decreto Calabria» e commissariamento della sanità regionale. Il presidente della regione Mario Oliverio non la prende bene e annuncia ricorso alla Consulta. La ministra della Salute risponde che «il ministro fa il suo compito nei solchi della Costituzione, che prevede che il ministro garantisca i Livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale. C’è una situazione oggettivamente emergenziale determinata da due parametri fondamentali, il disavanzo di gestione, arrivato a 168 milion nell’ultimo trimestre del 2018, e il punteggio Lea del 2017, fermo a 136, molto al di sotto del limite minimo». Grillo ha sottolineato come il decreto avrà «una durata limitata di 18 mesi. Da allora la Regione potrà avviare le procedure di nomina di nuovi manager».
MENTRE I MINISTRI RIPRENDONO l’aereo per Roma monta la rabbia e lo scetticismo di medici ed infermieri per questi provvedimenti d’urgenza. «L’unico merito della ministra è quello di aver ravvivato il dibattito sulla sanità calabrese, che ad oggi secondo i dati che abbiamo in mano si pregia di un disavanzo di circa 200 milioni annui», spiega Francesco Febbraio, medico del 118 a Cosenza – «il governo non fa i conti col potere mantenuto da vecchi burocrati in larga misura responsabili dello sfascio, con la consolidata subordinazione dei manager alla politica e con il condizionamento ambientale da parte di ‘ndrangheta e soggetti occulti, allegre e meschine pratiche gestionali». Se in provincia di Reggio la situazione drammatica è stata di recente documentata da inchieste giornalistiche e giudiziarie, l’ateneo e il policlinico catanzarese versano in una condizione devastante, mentre l’ospedale cosentino è al collasso per effetto dei tagli alle strutture sanitarie pubbliche avvenuti negli ultimi anni. E se Febbraio non esita a definire «barzellette» le unità aziendali Anticorruzione, la quasi totalità dei suoi colleghi impegnati in strutture pubbliche individua le cause del problema nel «sovradimensionamento delle cliniche gestite da ricchi e influenti privati che vengono foraggiati allegramente da ogni politico di qualsiasi colore insediatosi alla guida della regione». Il decreto giallobruno pone la “novità” d’imporre al commissario ad acta precisi adempimenti a scadenza fissa. «Cosa dovrebbe controllare lo stesso commissario?», si chiede un oncologo in servizio presso l’ospedale di Catanzaro, che preferisce restare anonimo. «Le aziende interessate sono sprovviste di strumenti per rendicontare semestralmente il loro operato, per non parlare dell’impossibilità di procedere alla verifica della qualità dell’assistenza. Dunque – prosegue lo specialista – l’idea di un controllo emergenziale con affido a giudici e Guardia di Finanza mostra già la sua debolezza».
PERENTORIA ANCHE LA DENUNCIA degli operatori del Pronto Soccorso di Cosenza: «Se Grillo fosse venuta qui, fra le mille barelle con malati inflebati, la puzza di orina e di umori indistinti, fra le stanze-corridoi, si sarebbe resa conto che i tagli lineari e la falcidia dei presidi periferici non hanno minimamente tenuto conto delle esigenze dei territori. Così si è consumato quello che abbiamo sempre temuto, cioè la non garanzia di un minimo standard di qualità dell’offerta sanitaria pubblica». Un paziente che si rechi al Cup di Cosenza per una colonscopia deve attendere dai 3 ai 6 mesi; per una TAC o una gastroscopia dai 4 ai 5 mesi. In regime intramoenia invece gli esami si eseguono subito, ma il costo va dalle 200 alle 300 euro. Ancor peggio le visite private. Soffocati tra il pubblico che non funziona e il privato oneroso e clientelare, molti pazienti emigrano in altre regioni. Vivono ormai con rabbiosa rassegnazione le stimmate dell’emigrazione sanitaria forzata.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti

il manifesto, 19 aprile 2019

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