Ilva di Taranto, i lacrimogeni non spengono la rabbia

L’antico acquedotto romano ricoperto di fuliggine rossa. È lo stesso velenoso pulviscolo che da decenni invade i polmoni e corrode le ossa dei tarantini. A pochi metri, palizzate in acciaio alte una trentina di metri, sovrastano cespugli di polverosi finocchi selvatici e alberi carichi di fichi che mai nessuno raccoglierà. Grande due volte e mezza la città di Taranto, l’Ilva annienta il paesaggio, un tempo tratteggiato d’ulivi. La più grande acciaieria d’Europa s’impone tra fumi, ciminiere, hangar e ferraglie. Non ci sono i profumi di maggio. La pioggia non spegne la rabbia dell’agguerrito corteo partito dal quartiere Tamburi, ridotto a un lager di finestre sbarrate, scuole chiuse e divieti di vita sociale. Allora ci prova la polizia a placare l’ira dei manifestanti, sparando lacrimogeni davanti ai cancelli d’ingresso, dove le mamme del quartiere, inferocite, premono sulle inferriate. Ma i tremila non ripiegano e sotto un diluvio aprono i microfoni alla pubblica assemblea. In piazza sono scese delegazioni provenienti da tutti i territori, soprattutto quelli ricoperti dalle stimmate provocate dal capitalismo italiano del secondo dopoguerra e dalle multinazionali dei veleni neoliberisti. Nutrita la delegazione calabrese. Sventolano bandiere NoTav, NoTap, NoTriv. Compatto lo spezzone degli ultras locali: “Prima ancora che del Taranto, siamo ultras della città di Taranto”. Gli slogan contro il governo giallo-verde si concentrano sul tradimento pentastellato: qui come altrove, l’iniziale ambientalismo grillino ha ceduto il campo all’utilitarismo. La fabbrica rimane lì, non si discute la sua chiusura ai piani alti della politica. E i morti non si contano più. L’ultima vittima l’hanno tumulata una settimana fa. Si chiamava Gabriella, aveva 60 anni, lavorava all’Ilva. Ai funerali c’erano 40 suoi colleghi: pugni chiusi e il solito lacerante quesito dettato dall’impotenza: “Morire di fame o di tumore”? Il sabato tarantino è carico d’indignazione almeno quanto il “Friday for future” di Greta Thunberg. Ma il futuro è già qui, sordo e assassino. Se confrontati con questa città brutalizzata dall’Ilva, gli scenari da film come “Blade Runner” sembrano cartoni animati Disney.
Claudio Dionesalvi
 
 
foto Wilma Carlini

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