«I furiosi», un romanzo racconta l’avventura spericolata degli ultrà

L’Iliade e l’Odissea del mondo ultrà è contenuta negli undici canti del romanzo I Furiosi, scritto da Nanni Balestrini che della «ondata politica, creativa ed esistenziale» nella seconda metà del secolo scorso è stato uno dei sublimi aedi. E pur non essendo un football man, dopo aver cantato i movimenti rivoluzionari degli anni sessanta e settanta, all’inizio dei novanta si è lasciato ammaliare anche dalla potenza fabulatoria del tifo estremo.
A quasi 30 anni dalla sua prima uscita per i tipi della Bompiani, DeriveApprodi ripubblica il romanzo di Balestrini (pp. 128, euro 14), con la prefazione di Alessando Dal Lago che già nel 1990 adoperò la sua vista espansa in Descrizione di una battaglia (Il Mulino) per inquadrare i rituali degli stadi di calcio.
La storia di una trasferta degli ultrà milanisti a Cagliari, culminata nel ratto dello striscione che dà il titolo all’opera, si intreccia con altri avvenimenti dell’epopea futbolistica, seguendo la scansione di un montaggio alternato.
«In un’epoca che ha fatto degli operatori di borsa i simboli della società civile e dei celerini gli esempi televisivi per la gioventù, gli ultrà spiccano per una passione vagamente anarchica, tra il religioso e il carbonaro, come dei Franti che irridono il perbenismo di destra e di sinistra», scrisse Dal Lago nella prefazione all’edizione del 2004, anch’essa pubblicata da DeriveApprodi. Il sociologo evidenziava la tendenza dei curvaioli a costruire «culti laici, forme di solidarietà e di comunanza, percorsi di avventura e di leggenda, memorie e iconologie e sì, certo, anche inimicizie e occasioni per scontrarsi tra loro e con la polizia».
BALESTRINI COLSE nel demone ultrà la funzione di corego, la vocazione epica, sino agli anni novanta affidata all’oralità ed alla corrispondenza cartacea. Oggi ne avrebbe stigmatizzato la trasfusione tra le pagine immateriali del verbalismo social. Nei Furiosi la confluenza di apollineo e dionisiaco, non ancora falcidiato dal razionalismo che snaturò la tragedia greca, prevale sulla metafora del panem et circenses delle arene romane.
«Quello che mi aveva colpito non è tanto lo spettacolo di violenza che loro raccontano in modo ironico, bensì questa gioia di un fatto collettivo, di stare insieme, di quello che la società in cui vivono li priva», dirà Nanni Balestrini dopo l’uscita del romanzo. In termini letterari, a rendere ancor più efficace il racconto, mantenendo il ritmo sangue e nervi dell’oralità tipica del fanatismo calcistico, è l’eliminazione della punteggiatura, connotato della neoavanguardia di cui l’autore fu coprotagonista all’interno del «gruppo 63». Anche lo spettacolo teatrale che nel 2016 Fabrizio Parenti ricavò dal romanzo restituì la potente freschezza del lessico ultrà. Narrano le cronache di strada che pur di preservare questa forza affabulante, Balestrini abbia usato uno stratagemma, registrando di nascosto la chiacchierata con le sue fonti orali: alcuni tra i più autorevoli capi della curva milanista. Pare che loro, poi, quando capirono di essere stati registrati, non la presero bene.
Da quel tempo, mutazioni sociali e strutturali profonde sono avvenute nel calcio, sugli spalti e fuori. Nella postilla del 2007 lo stesso Balestrini avvertì l’esigenza di inserire una precisazione: «Gli ultrà che qui si raccontano hanno poco in comune con quelli che in questi anni sono al centro di feroci polemiche e oggetto di severi provvedimenti legislativi».
LO SCRITTORE RICHIAMAVA un illuminante articolo di Alessandro Dal Lago, pubblicato il 7 febbraio di quell’anno da il manifesto, in cui il sociologo bollava «la ritualità (…) piegata agli interessi delle società del calcio e alle strategie aziendali di gruppi di tifosi», nonché «la violenza non più esclusivamente ritualizzata ma diventata uno strumento del business. A ciò aggiungiamo la fascistizzazione delle curve, un fenomeno che la sinistra ha ignorato o subìto e la destra ha cavalcato».
Del resto, già nella prefazione del 2004, Dal Lago segnalava che gli ultrà degli anni ottanta e novanta, quelli descritti da Balestrini, in seguito «come gli antichi legionari romani saranno forse scivolati un po’ indietro nelle file, per lasciare spazio ai giovani guerrieri».
E tra questi, comunque, ancora oggi sono in tanti a coltivare la retrotopia di una virginale controcultura. Echeggiando la mitologia greca, dell’opera restano avvinghiati alla mente di chi legge soprattutto i canti d’amore e di guerra. Sulle note de «I morti di Reggio Emilia»: «Tifosi rossoneri tifosi milanisti / teniamoci per mano in questi giorni tristi / andiamo giù a Marassi andiamo al Comunale / tifosi rossoneri finiamo all’ospedale».
I Furiosi rimane il miglior libro di narrativa ultrà, scritto da un non curvaiolo che tuttavia ultrà lo è stato in letteratura e nella militanza rivoluzionaria.
Claudio Dionesalvi

il manifesto, 19 luglio 2023

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