L’Italia è uno stadio

Nella storia dei conflitti di strada tra forze dell’ordine e movimenti sociali in Italia, il G8 di Genova rappresenta un punto di svolta, la rotella che fa ruotare i due bracci di un vecchio rasoio. Il manico del rasoio è un decennio di sperimentazione delle più brutali pratiche repressive negli stadi di calcio. Sul lato della lama, invece, scorrono gli ultimi sei anni di funzionamento della stessa catena di comando che fu resa operativa prima, durante e dopo le tre giornate del 2001.  Le cariche indiscriminate, il pestaggio dei fermati, i colpi di pistola ad altezza d’uomo e l’uso contundente dei lacrimogeni, sono strumenti e metodi di lavoro che la polizia italiana adotta dal tempo di Scelba. Dagli anni novanta, tali «modalità» d’intervento hanno assunto i connotati di un piano scientifico da attuare contro la parte pensante del mondo ultrà e, di conseguenza, a favore delle sue componenti più stupide e brutali. Da un’attenta osservazione delle leggi concepite dai diversi governi in materia di contrasto della turbolenza giovanile negli stadi, emerge una continuità: Maroni prima, Pisanu poi, ed infine Amato, hanno rafforzato i poteri di polizia, aumentando via via le deroghe allo Stato di diritto. Verso la metà del decennio scorso, questa strategia ha prodotto scenari da «Rollerball». Si sono istituzionalizzati i gruppi organizzati, e con essi la violenza.
L’importazione di uno pseudo modello anglosassone ha prodotto la polverizzazione delle curve ultras, alimentando il fenomeno dei cosiddetti «cani sciolti». Di questo clima è rimasto vittima a Genova Claudio «Spagna» Spagnuolo, tifoso del Genoa, nel 1995. Le stesse misure speciali, adottate in seguito alla sua tragica morte, hanno alimentato il fenomeno della dislocazione degli scontri. Siamo quindi ai giorni nostri: alla morte del laziale Gabriele Sandri, una tragedia che potrebbe accadere ogni domenica, visto il coefficiente di forza militare che lo Stato dispiega settimanalmente negli autogrill e nelle stazioni, con la scusa che deve tenere a bada gli ultrà.
Prima e dopo Genova, dunque, abbiamo assistito all’apparire sulla scena di nuove comparse: il poliziotto «robocop» e l’ultrà «avatar». Grazie all’addestramento negli stadi, migliaia di carabinieri, celerini e baschi verdi della Finanza hanno acquisito una agghiacciante professionalità paramilitare nello scontro in campo aperto. Da semplici impiegati dello sfollagente… ad Arancia Meccanica! Non più una polizia deterrente, bensì devastante, come nei periodi più cruenti del secondo dopoguerra.
Dal canto loro, decine di migliaia di ultrà, confinati sempre più in una dimensione sottoculturale confezionata dall’alto, dalle multinazionali che ne hanno espropriato il logo, e da formazioni neonaziste, hanno assunto comportamenti siliconati. Questa forma di dissociazione esistenziale di massa ha prodotto gruppi organizzati scaduti al rango di milizie armate, agenzie di servizi o botteghe di gadget. A Genova, nel luglio 2001, il mondo ha potuto vedere con i propri occhi i risultati di una lunghissima e vasta esercitazione di polizia. In azione sono entrati i robocop che quando caricavano picchiavano indistintamente ragazzini, donne e passanti inermi, come sono abituati a fare da sempre dentro e fuori gli stadi di calcio.
E dopo Genova? Il cammino è proseguito: risposta militare agli ultrà, leggi d’emergenza negli stadi, abolizione sostanziale del principio della flagranza di reato, attribuzione definitiva del potere giudiziario alle questure, impiego di sofisticate tecnologie di controllo, megarecinzioni degli impianti sportivi e schedature di massa dei tifosi. Roba vecchia, insomma, visto che la maggior parte di queste misure aveva già trovato piena o parziale applicazione prima del 2001. La novità è nella cabina di regia. Si è rivelata efficace la famigerata stanza dei bottoni delle giornate di Genova, da dove esponenti del governo telecomandarono la mattanza. Così anch’essa è stata istituzionalizzata, pronta per l’uso negli stadi e fuori, durante la settimana. La paralisi dei treni che dovevano portare migliaia di manifestanti a Roma, in occasione delle due ultime visite in Italia di Bush, è l’esempio più chiaro. Con la scusa di vietare il viaggio a quanti fossero senza biglietto, la polizia ha aggredito migliaia di persone fuori e dentro le stazioni, seguendo il modello anti-ultras. La catena di comando, di fatto, è rimasta inalterata. Dicesi «Osservatorio sulle manifestazione sportive». Esisteva già prima del 2001, però era un’altra cosa. Trattandosi di un «Osservatorio», osserva… e non solamente la violenza negli stadi. Ma di «sportivo» non ha proprio nulla. La sua forza d’impiego è affidata ai soliti robocop. Il nemico è un avatar senza identità. E così il rasoio è pronto, caso mai ce ne fosse bisogno, per martoriare altra carne umana, magari, in una nuova Genova.
Claudio Dionesalvi
CARTA settimanale, n° 41   novembre 2007

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