“Follia atto primo”, teatro sperimentale al Filo Rosso

Più di un semplice spettacolo teatrale. Un piccolo miracolo. Se l’incendio appiccato da un balordo, due settimane fa, avesse raggiunto il sipario, della sala teatro “Giusva Morrone”, allestita con tanti sacrifici nello Spazio Sociale Filo Rosso, sarebbe rimasto solo un mucchietto di cenere. Potenza dell’energia positiva: le tubature sono scoppiate e una cascata d’acqua ha evitato quella che sarebbe stata una piccola catastrofe sociale.
Quando il rettore Latorre ha constatato di persona che nell’edificio polifunzionale dell’università della Calabria si è verificato un prodigio, è rimasto talmente impressionato, che si è precipitato in tribunale a chiedere lo sgombero immediato del centro sociale. Miracoli e paradossi di un’umanità inquieta. Nonostante la bravata di qualche frustato, “Follia atto primo” sarà portato in scena a partire da lunedì prossimo.
Nel circuito sotterraneo di una città che fruisce molto ma partecipa poco, c’è grande attesa per un nuovo evento artistico autoprodotto. Lo spettacolo reca la firma di Maximilian Mazzotta; assistente alla regia è Iris Balzano; tecnico audio Ciccio Catania. Sul palco si muovono 18 attori non professionisti. Repliche tutte le sere, alle 21. Costo del biglietto: 7mila lire. Posti a sedere nella sala teatro del Filo Rosso: 50. Quindi, prenotazioni obbligatorie, contattando il numero 0984404119. L’incasso verrà utilizzato per ampliare e potenziare la struttura.
Peccato che neanche uno dei mille miliardi impiegati per costruire gli inerti cubi dell’Unical, sia stato destinato alla realizzazione di uno spazio teatrale.
«Follia atto primo – spiega Max Mazzotta – racchiude frammenti tratti da tragedie shakespeariane. Una simbiosi tra “Macbeth” e “Romeo e Giulietta”. Quest’ultima è stata tradotta in dialetto cosentino. Lo spettacolo è ambientato in un paese immaginario della Calabria. Entrano così in simbiosi due opere diverse, attraverso l’innesto dello spirito della commedia.
Ma non voglio spiegare come sono state incastonate tecnicamente. Preferisco che l’intreccio rimanga segreto, almeno prima di lunedì prossimo».
Il dialetto si impone a sublimare un esperimento di laboratorio, «perché – prosegue Mazzotta – si presta molto ad esprimere la ricchezza semantica del testo. Per me è stata una vera e propria scoperta. La traduzione non si è rivelata difficile, in quanto già all’origine i personaggi parlano in modo molto popolare».
Due battute conclusive per solleticare i farisei locali del teatro d’avanguardia: «Negli anni settanta si lottava per conquistare spazi e strumenti. Oggi avrebbe più senso appropriarsi di strutture che già esistono. È assurdo continuare a lavorare con mezzi poveri mentre le risorse finalizzate all’arte si sprecano.
Le strutture pubbliche producono opere che neanche si vedono in giro, eppure beccano un sacco di soldi. Non riesco a rassegnarmi all’idea che ancora oggi siamo costretti a cominciare da zero. Ma al di là di tutto, andiamo avanti lo stesso». Parola di Maximilian Mazzotta.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 10 maggio 2000

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