Circumnavigando il seno

CULTORI dell’eros, malati del complesso di Edipo, maniaci, poetesse, streghe del tempo della guerra globale, hanno di che leggere. Farebbero meglio a sfogliare, prima possibile, il Libro del Seno.
Scritto con umano delicata da una chirurga di qualità internazionalmente riconosciuta, Santa Impellizzieri, edito da Newton & Compton, è stato presentato alla Casa delle culture, di fronte ad un sinuoso ed attento pubblico.
È una piccola grande enciclopedia, un infinito aforisma dedicato al più magnetico degli organi femminili. Sin dal paleolitico ci interroghiamo sul senso di quelle rotondità, bramandole, cercando ossessivamente di conquistarle, spesso spingendoci fino alla loro bieca mortificazione. Nel dominio delle donne, le mammelle incarnano identità, potenza, anelito alla vita.
Impellizzieri, con il suo volo d’ape, ci regala un inedito spiraglio semantico, una prospettiva molteplice, nel tentativo di rispondere a quesiti sconfinati, che rischiano di perdere aderenza nella stagione presente, più votata alla simbiosi tra animale umano e macchina.
Dallo sguardo impersonale di una specialista, una donna abituata, per necessità professionali, a maneggiare asetticamente il prezioso organo femminile spesso aggredito dalla più spietata delle malattie, sboccia un mazzo di ruvidi fiori letterari. Ne scaturisce un’uscita di senno, un atto di ribellione esistenziale ad un ruolo, quello del medico chirurgo, solitamente algido e meccanico.
Del resto, Impellizzieri non è nuova a fatiche liriche.
Il seno passato al microscopio e proiettato su una parete storicizzante, anticipa le due sezioni nevralgiche del libro, riservate ad una riflessione di carattere scientifico.
Chiude l’opera una parte che tratteggia l’inesplorata questione della mammella maschile. Il seno simbolizzato e sezionato, non a caso ha avuto come madrina, nella tappa cosentina dell’autrice, l’autorevole psicoanalista Anna Salvo.
Insieme a lei, la docente dell’Unical, Donatella Barazzetti, che individua l’importanza di questo lavoro proprio nel tentativo di affrontare il discorso sul “rapporto che noi abbiamo con il nostro corpo”, un approccio abitualmente disgiuntivo, rispetto al quale è ancora legittima una “conciliazione”.
È possibile ribaltare le ansie sullo stato di salute del prezioso organo. Ne è convinta l’anestesista Francesca Mitidieri: si può infatti continuare a guardare al seno come “simbolo di sensualità e bellezza”, anche quando è necessario combatterne le degenerazioni cellulari. Fondamentale è inquadrarlo nei suoi paradossi, nelle sue ambivalenze culturali.
Impellizzieri cita due esempi contrapposti, sui due versanti del litorale calabro: “In un paese dall’insolito nome di Guardia Piemontese, le donne indossano il tradizionale grembiule allacciato come un bavaglino sopra le mammelle anziché sceso in vita come sarebbe logico e normale.
Alla radice di tale bizzarria c’è il desiderio di nascondere e appiattire la rotondità del corpo per mortificare la propria femminilità”.
Usanze ben differenti dalle donne sibarite che “indossavano camicette trasparenti che lasciavano intravedere il seno nudo e pepli che mettevano in giusto risalto la sinuosità delle forme”.
Insomma, “cerchiamo di circumnavigare quest’organo, come un fatto che non abbia il senso del dolore o della paura”, bensì “come un fatto della curiosità”, senza mai perdere la naturale attitudine alla ricerca della rotondità.
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 19 giugno 2004

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