Trame sociali sullo stretto

Gallico, il mare non si vede ma s’avverte, nei vicoli serrati che sembrano tuffarsi nello stretto di Messina. Vista da quaggiù, Reggio Calabria è distante una buona passeggiata, o forse è tutt’intorno, sullo sfondo.
Non lontano da qui, la maga Circe, per vendicarsi di quel Glauco che la respinse, versò il succo di alcune erbe misteriose nell’acqua della sorgente dove Scilla, la rivale d’amore, correva a bagnarsi. Scilla si fece mostro.
Nel 2004 dopo Cristo, la Circe di turno si chiama Ufficio del commissario regionale per l’emergenza rifiuti. Tonnellate d’immondizia s’apprestano a riversarsi nella nascente megadiscarica della fiumara del Gallico. Le popolazioni locali non hanno accolto passivamente la notizia.
Una stradina, una curva, un’altra, e sbuca Euro Confezioni, cooperativa tessile che non ti aspettavi di trovare proprio lì, nel cemento soffocante di un quartiere cresciuto su se stesso. Dietro le macchine per cucire, si attivano Romina, Patrizia, Iolanda. Nomi italiani, profondi sguardi orientali. Sono rom. In Calabria, se chiedi ad uno zingaro da quante generazioni la sua famiglia viva in questa terra, non ti sa rispondere. Hanno dimenticato dialetto e costumi. Delle antiche tradizioni, rimane poco e niente. Solo il disagio in cui vivono, testimonia l’origine gitana.
Con le tre ragazze, lavorano Stefano, marocchino instancabile, e Iolanda, giovane polacca. Hanno trovato riparo e dignità nel progetto Khorakhané, letteralmente “la forza di essere vento”, suggestione trasmigrata dalla lirica di De André.
In armonia cooperano, con Euro Confezioni, l’Opera Nomadi e il Centro Sociale “A. Cartella”. Il progetto “prevede, attraverso un corso di formazione professionale, l’inserimento sociale di un gruppo di 15 ragazze della comunità rom relegata nella periferia più degradata di Reggio”. Il finanziamento scaturisce da uno specifico fondo regionale. Dopo sei mesi di preparazione, il 40 per cento delle corsiste è in procinto di essere assunto. Sei su quindici! Mica male, anzi un evento inedito, per mille motivi.
Anzitutto, escogitare un progetto simile, a Gallico, non è come altrove, in Italia.
Lo sanno bene Mimmolino, Caterina, Gianni, che tengono in piedi la “baracca” da qualche manata d’anni. E non è facile. Ritrapiantarti nella tua terra dopo un lungo tour migrante nelle contrade del nord, non è un semplice ritornare.
Bisogna reinventarsi.
Mimmolino, è possibile vederlo sfrecciare sulle vie calabre a cavallo d’una moto grande grande, un raider con lo stemma del “Che”. Tre figli grandicelli, ma lui è un ragazzo quarantenne dei centri sociali… “Falla finita co ‘ste formulette, minchia! Sono un compagno e basta”!
… con lui c’è il fratello Gianni, altro comunista viscerale col pallino del calcio femminile, e Caterina, metà Mimmo, madre degli stessi figli che, è bello raccontarlo,  portano i nomi d’una valle, una torre, un ribelle.
Rispettivamente, Giulia, Melissa, Emiliano.

Gallico 4

Ma cosa ci fa, a Gallico, una cooperativa che taglia, cuce, stampa e confeziona?
I mercati non erano altrove? Le commesse non sono forse scivolate verso la parte destra del planisfero?
Euroconfezioni ha sfornato di tutto. Tute della Roma, casacche della nazionale italiana, camici industriali, felpe, divise di grosse aziende e adesso, grazie alle mani nomadi, anche borse ed altri capi d’abbigliamento. Diversi leader del settore, si sono appoggiati qui. Il lavoro non è quasi mai mancato. La grossa novità, per queste latitudini, è il rispetto dei diritti previsti dal contratto d’assunzione. In tanti centri urbani calabresi, le percentuali di lavoro nero toccano quota novanta.
Sull’argomento, Mimmolino è perentorio: “Il corso di formazione e il precedente percorso di lavoro, ci hanno portato ad accumulare una certa potenzialità. La nostra aspirazione maggiore è entrare nel circuito equo e solidale, però vorremmo farlo con dignità, senza pianto meridionale o strette di mano agli amici degli amici. Ne abbiamo piene le p… di inseguire il mercato globale, fatto di competizione sfrenata e sfruttamento. Ci siamo resi conto, mettendo in atto il progetto, che è possibile dare a tanti, come Iolanda, la possibilità concreta di uscire dal ghetto sociale e culturale in cui di solito sono relegate le minoranze etniche. La loro, poi, è una minoranza molto particolare. Hanno la carta d’identità italiana da decenni, ma è come se non l’avessero. E non sono nemmeno compiutamente stranieri o immigrati. Insomma, invisibili! Ecco perché stiamo cercando di darci una svolta. Il nostro progetto è solo all’inizio”.
Per Iolanda e le altre, potrebbe essere veramente la fine della segregazione: “Se volete, vi mostro dove vive la mia famiglia”.
Il “208” è un vecchio casermone nel rione Sbarre di Reggio. Delimita il campo rom, cinque minuti a piedi dallo scintillante e centralissimo corso Garibaldi. Nel quartiere, anziani e piccoli abitanti attraversano la giornata immersi in un perenne nulla, adagiati su vecchie lambrette e giacigli improvvisati.
Qui, come a Lamezia, Cassano ed altri numerosi insediamenti storici di Calabria, gli zingari vivono d’espedienti. Il papà di Iolanda è un signore con una luce onesta intorno al viso. Recupera rame, ferro e alluminio. Quella vecchia consuetudine, tutta rom, di raccogliere e riciclare! Vecchi computer, grossi cavi in disuso, le mani callose: “Il rame me lo pagano 2100 lire al chilogrammo, mentre il ferro costa 80 e l’alluminio 1300”. Padre, moglie e figli smontano quelle macchine, meglio di un tecnico specializzato. Mimmolino li osserva con ammirazione. Poi, ritorna con la mente al suo progetto: “Devo mettermi sulla moto, andare a raccontare questa storia a chi si occupa di cooperazione solidale. Bisogna far sapere che esistiamo, come ho fatto con voi. Del resto, una delle cose che negli ultimi tempi mi ha dato veramente piacere, è stata la visita in cooperativa della mamma di Carlo Giuliani. Le abbiamo regalato una felpa che recava il nome di un’altra sfortunata e dolce figlia di un nostro bravo compagno: Angelina Cartella. L’avevano cucita le ragazze rom, con le loro mani. Queste sì, che sono soddisfazioni”.
Claudio Dionesalvi
CARTA settimanale, n° 22 giugno 2004

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