La comune di Scampia decostruisce “Gomorra”

“Caro genitore, per la gita scolastica vorremmo portare suo figlio a visitare il quartiere di Scampia”. Nell’Italia del 2019 non è facile trovare un papà e una mamma disposti ad accogliere una simile proposta didattica. La prevedibile psicosi “Gomorra” sarebbe aggravata infatti da un contesto storico che non aiuta: le notizie di cronaca provenienti da Napoli nelle ultime settimane, terrorizzerebbero chiunque. Ossessionati da paure indotte e da un’insicurezza funzionale al consenso elettorale, i genitori dei nostri alunni avrebbero ben poco da entusiasmarsi sapendo che i loro professori vorrebbero condurli tra le strettoie di uno dei quartieri più degradati d’Europa. E si potrebbe anche sollevare il problema etico: che senso avrebbe il turismo sulla scena di un dramma sociale? I ragazzi così parteciperebbero al tour dei selfie come accadde intorno alla “Costa Concordia” dopo il naufragio. Allora, un genitore da “Quinta Colonna” risponderebbe con il più secco dei monosillabi: “NO”. Molto meglio le vecchie e sicure gite scolastiche, con alunni e professori alloggiati in postriboli adattati ad alberghi e le carovane di studenti-zombie reduci da nottate di baldoria insonne, costretti a visitare i musei dei tappi di bibite sfiatate.
Invece, siccome la periferia ormai è mille anni avanti rispetto a quello che una volta si vantava d’essere il Centro, appena a Lauropoli proponiamo di portare i nostri alunni a Scampia, i loro genitori accolgono la proposta con qualche naturale fremito, sì, ma anche con entusiasmo.
Così, insieme agli studenti Unical del corso tenuto dal professor Giancarlo Costabile che da anni nelle sue lezioni parla di antimafia sociale, nel primo vero giorno d’estate vediamo da vicino l’Officina delle Culture “Gelsomina Verde” di Scampia, ascoltiamo le voci di Ciro Corona e dell’educatrice Alexandra, conosciamo i volti delle persone che stanno prendendo per mano un intero quartiere per ricostruirlo dal basso, seminando socialità, cooperazione, rispetto per la dignità umana. Stavolta con i colleghi Emiliana Oriolo, Alessia Marino e Antonio Garofalo non abbiamo bisogno di richiamare i ragazzi al silenzio: senza che nessuno li costringa, i nostri alunni accantonano gli smartphone per ascoltare il racconto di Ciro e Alexandra. Poi, con discrezione e rispetto, attraversiamo i luoghi dove centinaia di famiglie vivono in un degrado totalizzante, voluto dalle istituzioni molto prima che dalla camorra che si è limitata a colonizzare questo spazio lasciato sguarnito dalla “società civile”. Allora le vele esistono davvero! Questo sembra vogliano dire i nostri ragazzi straniti, mentre osservano pericolanti ponticelli sospesi tra un edificio e l’altro, appartamenti invasi da vecchi materassi e detriti, micidiali coperture in amianto. Lamiere contorte dalla ruggine incorniciano vite umane incastonate nell’alveare di cemento corroso da rigagnoli verticali di acque putride e stagnanti. Un quesito è ricorrente sulla bocca dei ragazzi: a chi venne l’idea di costruire un simile lager? Semplice la risposta: “Cinquant’anni fa bisognava confinare una classe da una parte, e riservare l’anima delle città all’altra. E quando usiamo la parola classe, non ci riferiamo a quella scolastica”.
Oggi, al di là della mafiogena fiction, scorre con dignità la vita tra le vele: per come può, ciascuna famiglia cura con garbo e pulizia il proprio mini-appartamento. Tutt’intorno, qua e là, affiorano sorrisi. Quello dell’eroico ultrà napoletano Ciro Esposito, che emerge da un murale, e quelli degli immancabili e sfottenti scugnizzi costipati tre alla volta sugli scooter che ci sfrecciano intorno. Sospiriamo lievi davanti agli alloggi popolari che ospiteranno tutti gli abitanti delle vele, dopo l’abbattimento che è già in atto e dovrebbe compiersi nel giro di un anno e mezzo. Rimangono scolpiti nella coscienza gli sguardi di tutti i volontari dell’officina umana dedicata a Gelsomina che pagò con la vita la sua scelta d’opporsi alla camorra. In fondo sono gli stessi sguardi incontrati nelle strade calabre, sui volti di donne e uomini che per costruire un Altro mondo hanno deciso di farlo con spontaneità, partendo dalla terra in cui sono nati, senza attendere soluzioni dall’alto, ribellandosi contro qualcuno o qualcosa: Jessica di “Prendocasa”, Mimmo di “Equosud”, Sergio de “La Terra di Piero”, Mimmo di Riace. Melanconica pacatezza, gioiosa ironia, tono umile e consapevole li accomunano a Ciro e Alexandra di Scampia. Ché se davvero il Sud un giorno dovesse rinascere, solo dalla rabbia mista all’amore potrà rifiorire.
Claudio Dionesalvi

1 Comment
  • Barbara De Santis
    maggio 24, 2019

    Solo parole di stima e ammirazione per te e i tuoi colleghi. Questo è veramente il modo giusto per far comprendere e conoscere e aiutare i nostri ragazzi a crescere nella consapevolezza che cambiare si può… Un abbraccio grande e affettuoso con stima.

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