L’insilienza del papavero d’oppio sbocciato in città

Le voci dei bambini, le urla dei mattacchioni, il frastuono delle saracinesche dei negozi a orari fissi. E prima che Corso Mazzini divenisse isola pedonale, c’erano pure i clacson, i motori delle auto, qualche volta anche il botto dei tamponamenti, le sirene, le pallottole del racket e della guerra di mafia. Per chi è nato e cresciuto sulla principale arteria cittadina, la differenza nei giorni della quarantena di massa s’è sentita. Eccome se s’è avvertita! Oltre ai rumori dimessi o addirittura scomparsi, insieme al tempo sospeso o rallentato, anche la luce e i dettagli cromatici hanno assunto tonalità inedite.
Ogni anno in primavera è divertente rovistare con lo sguardo nelle crepe dei marciapiedi, sull’orlo di sdruciti balconi e grondaie insaccate di fanghiglia stagnante, dove sbucano germogli di colorati fiori selvatici, sbocciati tra le pieghe dell’impossibile. Per queste creature vegetali il termine più adatto è “resilienti”. Tale è la loro capacità di superare il trauma di affiorare dal calcestruzzo o dall’asfalto, resistendo senza appassire, sviluppando una forza superiore a quella originaria.
L’incontro è davvero prodigioso quando a sbocciare dal cemento invece è un fiore proibito, il cui habitat non sarebbe la città, ma le praterie, le zone costiere e di bassa montagna. Qui non si tratta di semplice resilienza. Merita una definizione più adeguata la sua capacità d’attecchire e resistere in un territorio diverso dal proprio. Il termine più adatto è insilienza, dal latino “insilire”: balzare su, saltare sopra, arrampicarsi. Di tale virtù è carico quel papavero d’oppio dal colore viola, ipnotico, suadente, incontrato per caso, camminando nella città deserta, che lenta e apprensiva prova a riavvolgersi di vita. Se a trasportarlo è stato il vento, doveva spirare travolgente e raffinato. Se invece il seme è caduto dalla bocca di un cardellino, allora la papagna fa parte della sua dieta. Così lo immagini assopito sopra un cornicione, beato in un’eterna quarantena, sgomberata da limitazioni di spazio e tempo. “E ogni cosa gli appare com’è, infinita”.
Claudio Dionesalvi

la foto del cardellino è di Pietro Salzano

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