“Contro le barriere della città!”

“In questi giorni si parla tanto del Kosovo e delle zone del pianeta violentate dalla guerra. La verità è che laggiù come in Calabria, gli unici perdenti siamo noi: i disabili”. Franco Chiarello ha alle spalle una vivace esperienza nel cabaret e risponde con estrema decisione ed una manciata di autoironia. Racconta la sua storia, quella di un impiegato della pubblica amministrazione. Nel linguaggio corrente, è un portatore di handicap. Ma lui non si sente né impiegato e né portatore di handicap.
“Semmai – mormora Franco sotto gli occhi lucidi e baffardi – i problemi appartengono a chi cammina tranquillamente sulle proprie gambe, perché deve rendere conto alla società delle merci, che è sempre pronta a lucrare su tutto. Su di noi, non ci sono interessi. O forse sì, sono le nostre famiglie ad essere interessate alle nostre condizioni di salute. E non per affetto, bensì perché portiamo soldi. Il denaro degli assegni di invalidità e le altre forme di assistenza che lo Stato ha escogitato per lavarsi la coscienza”. Evviva la sincerità: “Avrei voluto non essere disabile. Non mi unisco al coro di quelli che si rassegnano e fingono, dichiarando di aver accettato la propria natura”. Una frustata, di sapore leopardiano, alle associazioni del volontariato: “Producono solo perbenismo, pietà e solidarietà. Chi, come noi, ha sviluppato una sensibilità fuori dal comune, è in grado di avvertire le vibrazioni di una persona che spinge una carrozzella. Siamo come i gatti. Annusiamo la percentuale di adrenalina nel sangue della gente che ci circonda. E si capisce subito se uno ti vuole dare una mano perché deve conquistare il paradiso, oppure ti vuole veramente bene”.
Franco dirige lo sguardo verso la finestra. All’esterno dell’ufficio, si muovono le esistenze frenetiche del centro cittadino. Clacson, rumori, odori forti. “Quanta ipocrisia nella società civile – dice -. Se i ricchi si rivolgono alla massoneria e ad altre forme di protezione, possiamo lamentarci quando i poveri si gettano nelle braccia della mafia? Guarda questa città. Finge di essere aperta ai problemi dei più deboli, ma in realtà è sensibile solo a chi un ruolo già ce l’ha. Cosenza è piena di barriere architettoniche ed anche dove sono state rimosse, c’è sempre il cretino di turno che parcheggia la macchina sulle discese per le carrozzelle. E guarda che la mancanza di disponibilità è forte anche nei livelli alti, quelli istituzionali. Un esempio? Se una sera voglio andare a teatro, devo fare i salti mortali. Il Rendano è fatto per pellicce e doppiopetti. Gli storpi devono entrare dall’ingresso di servizio, magari con una carrucola o un argano, perché non sono previsti strumenti per facilitare l’ingresso dei disabili. E quanti altri uffici pubblici sono sprovvisti delle macchine per alleggerire la fatica di chi non è completamente proprietario delle proprie gambe”. La conclusione della chiacchierata è affidata ad una riflessione amara e grottesca. “Sono certo – dice Franco – che quando arriverò in paradiso, San Pietro inizierà a farmi problemi perché nemmeno lassù hanno previsto le strutture per disabili. Ma a me non me ne importa nulla. Anche lì farò casino. Farò un bel video documentario di denuncia, per far conoscere a tutti i beati il problema delle barriere architettoniche. Sarà un lavoro simile a quello che sto preparando in questi giorni. Lo presenterò pubblicamente e chissà, forse i cosentini, tanto sensibili al fascino degli spettacoli culturali, verranno a vederlo. In quella circostanza parlerò pure di un tema tragico: il suicidio. Che a volte può essere generato da una porta sbattuta in faccia”.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 24 marzo 1999

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