Il nostro processo e l’inchiesta sul “7 aprile”

Le frasi proibite sono impresse nel cuore della sentenza assolutoria della corte d’Assise di Cosenza. In essa, nella primavera del 2008, i giudici dicono chiaramente che durante le giornate di Genova, su via Tolemaide, le cariche furono ingiustificate, e che i carabinieri erano armati con strumenti fuori ordinanza. Ce n’è abbastanza per affermare il diritto alla resistenza. Lesa maestà! Per qualcuno, le parole scritte su quella sentenza minacciano sia l’inviolabilità dei poteri costituiti sia il sacro principio del monopolio statale della violenza. Riaffiora un antico dogma. In Italia lo Stato non può ammettere a se stesso di aver commesso crimini contro l’umanità. Non può tollerare che nel luglio 2001 migliaia di persone si siano difese dai riot delle forze dell’ordine.
E così la procura generale di Cosenza ha deciso di correre ai ripari. Contro quella sentenza si concentrerà l’ira del Pm Claudio Curreli, incaricato di riprendere il filo accusatorio di un’inchiesta firmata in origine da un altro pubblico ministero, il “buon” Domenico Fiordalisi, trasferito due anni fa in Sardegna. Nelle motivazioni dell’appello è scritto a chiare lettere: “la corte di Assise ha errato nell’applicazione della legge penale, ritenendo che la resistenza passiva alla Polizia non costituisca reato di resistenza a pubblico ufficiale”. In sintesi, bisognava farsi massacrare e basta! E guai a chi teorizza il contrario!
Dunque il processo d’appello che si apre il 18 maggio a Catanzaro, accoglie gli strattoni di una giustizia testarda, che va alla ricerca del pelo nell’uovo e vuole a tutti i costi dimostrare che non erano prive di fondamento le 40mila pagine dell’inchiesta contro il Sud Ribelle, condotta dalla chiacchierata digos di Cosenza e dai ROS dei carabinieri guidati dal comandante Giampaolo Ganzer, uno che di reati associativi ne capisce. Fu lui a intrecciare molti fili, nel nord est, alla fine degli anni settanta, al tempo del processo “7 aprile”. Per una sorta di nemesi, adesso è proprio lui imputato a Milano per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, falso e peculato. L’accusa ha chiesto per Ganzer 27 anni di carcere. Si vedrà. Intanto le sue carte continuano a vagare, persino nei tribunali calabresi dove, evidentemente, i magistrati possono permettersi il lusso di spendere milioni di euro e impegnare mezzi ed uomini per cercare di sbattere in galera 13 attivisti dei movimenti sociali accusati di aver pianificato e messo in atto gli scontri di Napoli e Genova del 2001. Sono gli stessi tredici corpi imprigionati nelle carceri speciali per avere impedito al governo Berlusconi di governare, additati come una minaccia per l’incolumità di Bush e degli altri capi di stato del G8, indiziati di aver agito in accordo con alcune imprecisate organizzazioni clandestine. Sul numero “13” continua a scommettere la procura di Cosenza, che non ha mandato giù l’eliminazione dalla “Champions League” in Corte d’Assise, e adesso vuole giocarsi fino in fondo questa “Europa League” del processo d’appello. Al match assistono distratti ed annoiati i Calabresi che notoriamente devono cimentarsi ogni giorno con ben altre problematiche: “il traffico”, la preoccupante vicinanza con l’Etna… ah, già, sì, da un po’ di tempo c’è pure la minaccia del vulcano Marsili. Ma cosa volete che sia, di fronte a quei 13 pericolosi soggetti accusati di aver turbato gli equilibri sociali e politici del continente? E pensare che la Corte d’Assise ha avuto pure il coraggio di assolverli. Roba da pazzi!
Claudio Dionesalvi
il manifesto, 18 maggio 2010

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